Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia

La mostra in corso a Palazzo Reale è un’ottima occasione per conoscere direttamente l’opera incisa di questo grande artista tedesco. La mostra in realtà, molto ricca e articolata, documenta sia la sua produzione pittorica che quella incisoria: di quest’ultima sono esposte le serie complete dell’Apocalisse, della Grande Passione e della Piccola Passione, della Vita della Vergine e della Passione incisa, oltre ad alcuni dei più celebri fogli sciolti (fra i quali Melancholia, San Gerolamo nello studio, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo, Nemesis, Sant’Eustachio), tutte incisioni che avevo visto solo in riproduzione e in modo frammentato. Obiettivo della mostra, oltre a quello di farci conoscere il genio artistico di Dürer, è quello di evidenziare i molteplici rapporti e scambi artistico-culturali tra la Germania e il Nord Italia, a cavallo fra il Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento, attraverso il confronto delle opere di Dürer (e quelle di altri artisti tedeschi come Schongauer, Cranach, Altdorfer, Baldung Grien) con quelle dei maggiori artisti italiani del tempo: Giorgione, Bellini, Mantegna, Pollaiolo, Lotto, Tiziano, Leonardo.

Devo confessare che la visita alla mostra non ha modificato la mia predilezione per l’opera incisa rispetto a quella pittorica, nella quale trovo caratteri più personali, liberi e innovativi. Gli storici dell’arte sostengono che il problema della libera espressione fosse molto sentito da Dürer: nelle opere pittoriche le richieste del committente erano a quell’epoca ineludibili e influenzavano per forza di cose le scelte iconografiche; nelle incisioni e nei disegni Dürer era invece libero di creare senza vincoli, anche perché, per non dipendere dalle richieste o dalle ordinazioni, aveva aperto la propria casa editrice di stampe d’arte (primo caso di artista imprenditore) e in questo modo, senza interferenze nella fase creativa, ha potuto svincolarsi da adesioni troppo rigide a temi iconografici tradizionali. I 15 fogli dell’Apocalisse sono da questo punto di vista veramente incredibili: le fantasie visionarie e, appunto, apocalittiche, che vi sono incise ci trasportano nella società di fine Quattrocento convinta dell’arrivo imminente della fine del mondo profetizzata qualche anno prima da Savonarola, condannato tra l’altro al rogo proprio l’anno della pubblicazione della serie (1498). I fogli sono esposti nella penultima sala della mostra: ci si arriva dopo un percorso ricco di opere strepitose ma vi consiglio di conservare ancora un po’ di energia per poterli osservare con calma e perdersi nei dettagli, che sembrano auto-generarsi man mano che si osservano le xilografie più da vicino. Ogni foglio mi ha letteralmente ipnotizzata.

Dürer, se potesse leggermi, di certo considererebbe offensivo questo apprezzamento così sbianciato della sua attività incisoria a scapito di quella pittorica. Nel 1505 infatti, durante il suo secondo soggiorno veneziano, raccontando all’amico Pirckheimer delle lodi che aveva ricevuto per la pala Festa del Rosario aggiungeva……..e inoltre ho ridotto al silenzio tutti quei pittori che dicevano che sono solo un buon incisore, ma che non so maneggiare i colori. Ci teneva, ovvio, ad essere considerato un artista a tutto tondo e la mostra ci da ampia documentazione che lo è stato. Ma quando guardiamo le sue opere grafiche (che costituiscono almeno quantitativamente la parte più importante della sua produzione) e i suoi disegni a carboncino (in mostra vi sono due spettacolari ritratti a carboncino e acquarello) non sentiamo proprio la mancanza del colore. Come scriveva Erasmo da Rotterdam circa la sua capacità di fare a meno del colore

…..Cosa non seppe esprimere con i suoi monocromi, cioè con le sue linee nere! Luce, ombra, splendore, rilievi, profondità…..Dürer sa offrire ai nostri occhi tutte queste cose impiegando il tratto adeguato, quello nero, di modo che se si volesse aggiungervi il colore si guasterebbe l’opera.

Le sue stampe erano ambite e ricercate, allora come oggi, tanto che il Vasari nelle sue Vite scriverà che per la novità e la bellezza loro erano in tanta reputazione che ognuno cercava di averne. Sono state copiate da molti artisti, coevi e successivi e le sue stesse matrici sono state stampate innumerevoli volte. Si dice che le portasse con sè durante i suoi viaggi e le vendesse per pagarsi le spese, le regalasse per disobbligarsi di qualche favore o per promuoversi presso qualche committente. Come un artista contemporaneo – ma in una società che considerava gli artisti ancora solo degli artigiani – le utilizzava per fare marketing e apponeva le proprie iniziali sulle matrici per tutelare il brand: a Venezia arriverà addirittura a sporgere querela contro Marcantonio Raimondi, reo di aver contraffatto ben 65 xilografie e 9 incisioni a bulino.

Qualche precisazione sulle due tecniche di incisione: Dürer ha inizialmente utilizzato la tecnica della xilografia (intaglio su matrice di legno) e poi, dopo il primo viaggio in Italia e la probabile conoscenza delle  incisioni di Mantegna e Pollaiolo, anche il bulino. In mostra si ha la possibilità di vedere a confronto opere realizzate con entrambe le tecniche e se ne può apprezzare la diversa valenza estetica. Nelle xilografie il segno impresso  è sempre piuttosto grosso e sintetico e gli effetti di chiaroscuro sono limitati; le xilografie sono il risultato di un lavoro minuzioso di eliminazione della materia lignea per isolare la linea da stampare, che risulta alla fine in rilievo. E’ una tecnica aspra e insidiosa per la quasi impossibilità di correggere gli errori e per la complessità delle operazioni da eseguire e gli storici dell’arte concordano nel ritenere che non fosse personalmente Dürer ad intagliare le matrici, ma piuttosto che si avvalesse dell’intervento di intagliatori professionisti che già allora si erano riuniti in corporazioni specializzate, ai quali sappiamo che dava però disegni completi e dettagliatissimi.

La tecnica del bulino, invece, consiste nell’incidere con un attrezzo metallico di sezione quadrata troncata obliquamente la lastra di rame. Il tratto è più sottile, gli effetti chiaroscurali sono molto più evidenti e sono il risultato di segni paralleli, incrociati, sovrapposti, che definiscono le forme con precise geometrie e creano forti effetti tonali; vi è quindi una corrispondenza diretta tra il segno inciso e quello stampato, mentre nella xilografia questa corrispondenza è indiretta, perchè il gesto del togliere obbliga a una gestualità trattenuta e meditata. Le incisioni a bulino sono invece tutte di mano di Dürer, possiamo dire che sono il riflesso della sua gestualità oltre che il risultato del suo progetto creativo.

Dürer ha scelto prevalentemente la tecnica xilografica per le opere di soggetto religioso, per il carattere più popolare ed emozionale di questo mezzo espressivo, mentre ha utilizzato la tecnica a bulino per le opere di soggetto colto destinate ad un pubblico più elitario. Senza dubbio l’altro giorno devo avere incarnato tutte e due le tipologie di pubblico: ho subito la forza ipnotica dei fogli dell’Apocalisse è sono rimasta affascinata dalle raffinate trame grafiche chiaroscurali dei fogli di soggetto allegorico realizzati a bulino. E uscendo dalla mostra mi sono trastullata con improbabili sogni di acquisto di uno dei suoi fogli incisi……

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Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia – Palazzo Reale di Milano – Dal 21 febbraio al 24 giugno 2018 – A cura di Bernard Aikema

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