AGOSTINO CARRACCI – Le lascivie

14C3D1FD-383B-4100-AC59-7DFF1DF0D5EF (3)Chiunque si addentri per la prima volta nel mondo delle incisioni antiche incontra un primo grande spartiacque: da una parte l’incisione di riproduzione, dall’altra quella di invenzione. Nella storia dell’incisione questa divisione inizia quasi subito e si sviluppa parallelamente alle tecniche: nel Cinquecento le incisioni, da compendio alla neonata editoria (illustrazioni di testi religiosi o scientifici), diventano anche il mezzo per eccellenza di riproduzione e diffusione delle immagini; è in questo modo, sotto forma di incisione, che in ogni parte d’Europa circolano le opere dei grandi maestri rinascimentali o fiamminghi, che sfruttano questo mezzo anche per la promozione della propria arte. Da questo secolo in poi gli incisori tenderanno a specializzarsi, chi limitando la propria attività alla sola riproduzione di opere altrui (con virtuosismi sempre più spinti), chi invece esplorando le varie tecniche incisorie per una personale ricerca espressiva. Ma ovviamente vi sono state anche alcune personalità artistiche che hanno giocato sui due tavoli contemporaneamente, come per esempio Agostino Carracci (1557/1602).

Anche se oggi è generalmente ricordato come incisore di riproduzione, in vita – val la pena ricordarlo – era invece acclamato sia per la sua abilità di incisore che per quella di pittore; era stimato, omaggiato e apprezzato anche come teorico, nonché promotore – insieme al fratello minore Annibale – della prima Accademia di Belle Arti della storia (L’accademia degli Incamminati a Bologna, 1582). La sua fama è andata però via via declinando, offuscata da quella del fratello (autore del famoso ciclo di affreschi della Galleria Farnese a Roma). Forse anche la stessa lunga pratica incisoria ha finito per svantaggiarlo, facendolo percepire più incline alla copia che all’ideazione. Comunque sia, insieme a lui sono scesi nel limbo tutti gli incisori di riproduzione della sua epoca e delle epoche successive, derubricati oggi a semplici copisti della grande pittura. Oggi guardiamo a questa vasta produzione con l’occhio di chi considera geniale solo e soltanto la pura creazione. Chissà, forse è un retaggio del pensiero romantico. Di certo però a quei tempi la stampa riproduttiva giocava un ruolo importante: era l’unico mezzo a disposizione per divulgare i dipinti dei grandi maestri e per svolgere questo compito al meglio sentiva il dovere, prima di tutto, di capire e assimilare profondamente lo spirito dell’opera.

Gli autori di stampe riproduttive non erano dunque semplici artigiani in grado di creare dei surrogati della genialità di Michelangelo o di Raffaello; se fosse stato così non avrebbero firmato le loro stampe, né sarebbero stati lodati tanto profusamente dai biografi o dai teorici dei secoli successivi come il Baglioni, il Bellori o il Malvasia, che hanno infatti lodato Agostino Carracci non solo in veste di copista, ma quale interprete originale attento all’esaltazione del modello e non solo alla sua riproduzione tout-court. L’incisione veniva considerata  dunque uno strumento di lettura dell’opera e di indagine delle forme, non solo un’arte sussidiaria e divulgativa. A riprova delle qualità richieste agli incisori di riproduzione, l’elogio ad Agostino Carracci dello stesso Tintoretto: avendolo visto alla prova nella riproduzione incisa della sua grande Crocifissione (quella nella Scuola Grande di San Rocco) era rimasto così sinceramente entusiasta delle sue capacità, da instaurare con lui un rapporto di stima e amicizia che durerà tutta la vita. Ma sono tanti i grandi capolavori riprodotti nelle sue incisioni a bulino: dipinti di Veronese, di Correggio, di Barocci, di Peruzzi, di Tiziano.

E’ stato senza dubbio un artista talentuoso nel disegno, ma ha avuto anche l’intelligenza di appropriarsi e sviluppare una tecnica incisoria innovativa – ancora poco sperimentata in Italia in quegli anni – inventata dall’incisore fiammingo Cornelius Cort e che permetteva risultati di grande virtuosismo nella modulazione dei grigi: la lastra di rame veniva incisa tracciando con il bulino prevalentemente segni curvilinei che seguivano le convessità delle forme e che erano – questa era la novità – di spessore variabile. Questo segno viene oggi detto modulato: parte sottile, si allarga per poi restringersi di nuovo. Tale sistema di segni permetteva degli effetti di chiaroscuro molto più graduali e morbidi di quelli risultanti dai segni di spessore uniforme, che erano in uso senza grandi cambiamenti dall’inizio del Cinquecento e che si traducevano in immagini stampate piuttosto rigide e semplificate nel chiaroscuro. Questo nuovo metodo, squisitamente tecnico, rendeva possibile tradurre la ricchezza dei colori dei dipinti in raffinate gradazioni tonali in bianco e nero, o rendere perfettamente, per esempio,  la luminosità delle stoffe, l’incavo delle pieghe, la trasparenza delle nuvole. Il segno modulato sarà poi ulteriormente sviluppato nel Settecento e nell’Ottocento dalla sempre più folta schiera di incisori di riproduzione, che raggiungeranno livelli mai più eguagliati di virtuosismo (la famosa scuola detta del bel taglio settecentesco e ottocentesco).

Confesso però che faccio fatica a guardare le incisioni di riproduzione di Agostino Carracci senza le lenti della modernità e – pur vergognandomi un po’ – tendo a sottostimarle. Preferisco d’impulso quelle di invenzione e sono quindi felice di possederne una su suo disegno originale: Satiro che frusta una ninfa appartiene infatti alla serie detta delle Lascivie, 13 bulini ai tempi considerati di contenuto erotico e oggi  valutati come il frutto migliore della sua produzione originale, che hanno avuto – proprio per il loro contenuto – una notevole seppur clandestina diffusione. Aggiungo che, oltre al piacere estetico, subisco il fascino un po’ feticista di potermi rigirare tra le mani una carta così antica, che ha più di 400 anni di storia, chissà da quante mani è passata e turbamenti ormonali ha prodotto. Va notato, comunque, che dal punto di vista della tecnica e rispetto ai bulini di traduzione, questa serie è molto meno raffinata, nel senso che il segno è molto più semplificato e veloce, non dovendo in questo caso – forse – tradurre le complesse variazioni tonali dei dipinti.

Siamo negli ultimi decenni del Cinquecento (gli studiosi non sono concordi sulla data di realizzazione della serie: per alcuni fra il 1590 e il 1595, per altri fra il 1584 e il 1589). Di certo siamo in piena Controriforma: nel 1570 era stato pubblicato De Picturis et immaginibus sacris di Molano, nel quale si stigmatizzavano gli effetti diabolici esercitati dalle pitture lascive; nel 1582 vedeva la luce il Discorso intorno alle immagini sacre e profane del Cardinale di Bologna Gabriele Paleotti, una specie di  richiamo pastorale di “ritorno all’ordine” nell’uso delle immagini sacre e profane, viste come mezzo imprescindibile di propaganda e di educazione religiosa. Un richiamo indirizzato a parroci, artisti e committenti (quindi, ai nobili), in cui si evidenziava la illiceità di usanze che andavano contro lo spirito della religione cattolica. Più in generale in quegli anni la Chiesa cercava di scoraggiare nelle arti figurative la scelta di alcuni soggetti biblici che si prestavano ad interpretazioni poco edificanti e che avevano avuto invece, fino a quel momento, grande diffusione: l’Ubriacatura di Noè, Susanna e i vecchioni, Davide e Betsabea, per citarne qualcuno, insomma tutti i soggetti, compresi anche quelli mitologici, che spingevano sul tasto della sensualità o avevano anche solo un blando potenziale erotico. Agostino Carracci, artista bolognese ben inserito negli ambienti intellettuali della sua città, conosceva senz’altro questo fervore controriformista. D’altra parte è molto probabile che conoscesse (perché sottobanco erano circolate a Bologna) Gli amorosi diletti degli Dei di Bonasone, una serie di bulini di soggetto mitologico dove però la mitologia sembrava solo un pretesto per immagini piuttosto allusive ed ammiccanti. Non bisogna poi dimenticare un illustre precedente: già sessant’anni prima, nel 1524,  la pubblicazione a Roma delle stampe erotiche di Marcantonio Raimondi, I Modi, tratte da disegni erotici di Giulio Romano e completate successivamente da sonetti piuttosto espliciti dell’Aretino, avevano fatto infuriare Papa Clemente VII. Per queste incisioni Marcantonio Raimondi era stato addirittura incarcerato e si dice che proprio in quella circostanza Giulio Romano avesse repentinamente deciso di cambiare aria, spostandosi  opportunamente a Mantova alla corte  dei Gonzaga.

In tema di produzione di stampe, il Cinquecento appare dunque un periodo piuttosto contraddittorio: da una parte quelle di soggetto religioso, aderenti alle prescrizioni volute dalla Chiesa controriformista e vendute probabilmente anche per le strade, messaggere a buon prezzo del messaggio di Dio anche nelle più umili dimore; dall’altra quelle di soggetto profano vendute (di certo solo privatamente) ad un pubblico colto, nelle quali la mitologia aveva smesso di  trasmettere alti insegnamenti morali e stava diventando un puro aneddoto, una favola divertente, un soggetto perfetto per immagini eccitanti e allusive. La produzione incisoria di Agostino Carracci ci sembra quindi perfettamente coerente con la sua epoca: le cosiddette Lascivie da una parte, accanto alla produzione (per altro preponderante) di incisioni di soggetto religioso.

Non è ancora chiaro se queste incisioni fossero state pensate come una serie o fossero vendute separatamente, né c’è concordia addirittura sul numero complessivo della serie (13 hanno le medesime piccole dimensioni, 2 invece sono più grandi, Il Satiro scandagliatore e Omnia vincit amor e alcuni storici preferiscono considerare queste ultime due non facenti parte della serie), tantomeno il motivo della loro realizzazione. Gli studiosi ipotizzano che a suggerirgliele possano essere stati gli stessi mercanti di stampe convincendolo con banali motivazioni economiche: il genere, infatti, aveva un suo sicuro mercato, meno ostentato, ma senza dubbio florido come quello delle stampe di soggetto religioso. Forse furono stampate a Venezia (perché il secondo stato di una di loro, Orfeo ed Euridice, porta l’indirizzo di uno stampatore veneziano), forse sono state anche concepite a Venezia: nella mia, le forme della ninfa e la sua acconciatura ricordano le donne prosperose dei dipinti di Veronese (ma gli erano certamente ben presenti i corpi femminili palestrati di Michelangelo).

Dei 13 bulini, 8 si ispirano alla mitologia attraverso le consuete Metamorfosi di Ovidio; gli altri 5 trattano di temi satireschi e la temperatura erotica sale, toccando nella mia qui riprodotta anche una certa sfumatura sado-maso. Perché scegliere queste creature dell’Olimpo per raffigurare i piaceri della carne? E’ presto spiegato. I Satiri erano creature mitologiche legate al culto di Bacco, amanti del piacere dei sensi e quindi, per trasposizione, considerati immagine della fecondità: ecco perché erano solitamente raffigurati amoreggiare insieme alle Ninfe. Nei secoli sono diventati il simbolo stesso della lussuria e  si dice  che siano stati all’origine delle fattezze di Satana, raffigurato con le corna e le zampe caprine.

Di questo bulino esistono anche delle copie in controparte o leggermente diverse nei particolari, oltre a versioni nello stesso senso fatte all’acquaforte (si veda il catalogo di De Grazia) con la scritta Il Satiro geloso battendo intimorisce la sua amata donna per non tradirlo. Non c’era ancora il movimento Me too a protestare.

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Agostino Carracci – Satiro che frusta una ninfa – Serie detta delle Lascivie – 1584/1595 (?) – bulino – mm 162 x 126 – carta vergellata senza filigrana

Per chi volesse approfondire:

Diane De Grazia – Le stampe dei Carracci : con i disegni, le incisioni, le copie e i dipinti connessi : catalogo critico – Bologna – 1984

Diane De Grazia – L’altro Carracci della Galleria Farnese: Agostino come inventore – 1988

Marzia Faietti: Carte lascivie e disoneste di Agostino Carracci – 2009

Aggiungo di seguito gli altri 12 bulini della serie e i due di maggiori dimensioni. De Grazia ci dice che dall’incisione Satiro che frusta una ninfa è stata tratta un’opera pittorica, venduta come lotto 4 dell’asta di Sotheby’s del 23 giugno 1980, ma ho trovato in rete un’altra indicazione di un dipinto tratto da questa serie: allego il link all’interessante blog di Michele Danieli in cui se ne parla. Certamente in circolazione ce ne saranno altre.

Michele Danieli – Censurando Agostino Carracci

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