Noi continentali abbiamo spesso della Sardegna un’immagine stereotipata, costruita tutt’al più in qualche breve settimana di vacanza, se abbiamo avuto la fortuna di poterci andare. E’ un collage di spiagge bianche, mare cristallino come quello dei paradisi tropicali e di gustosi piatti regionali. Qualcuno di noi, un po’ più colto o interessato agli aspetti storici, unisce a questo godereccio reportage fotografico anche qualche immagine di un Nuraghe, ma poi si ferma lì. Gli artisti a cui la regione ha dato i natali, che hanno magari contribuito alla Storia dell’Arte, invece non li conosciamo proprio: alcuni di loro hanno avuto prestigiosi riconoscimenti in vita e oggi credo che abbiano ancora qualcosa di interessante da dirci. Ecco perché voglio dedicare questo post a Mario Delitala (1887/1990), artista originario di Orani in provincia di Nuoro, considerato fra i migliori incisori del Novecento italiano.
Disegnatore, grafico, pittore, si è espresso al meglio, secondo me, nelle xilografie, realizzate per la maggior parte fra gli anni Venti e gli anni Quaranta, anni in cui questa tecnica incisoria veniva affrontata in Sardegna anche da un nutrito numero di altri artisti (Dessy, Branca, Biasi), tanto da far parlare allora di una vera e propria scuola regionale con caratteristiche proprie.
La xilografia, tecnica antica, difficile e dimenticata, era stata fortemente rilanciata a livello nazionale una decina d’anni prima dalla rivista L’Eroica, diretta da Ettore Cozzani. Questo periodico artistico-letterario, pubblicato dal 1911 al 1916 e poi dopo la guerra in modo irregolare fino al 1944, voleva essere una rassegna di ogni poesia, come si leggeva nel sottotitolo, un baluardo contro l’imbarbarimento culturale e del gusto, una rivista aperta, oltre che alla poesia vera e propria, alla letteratura e alle arti grafiche. L’idea di Cozzani (che derivava da altri esempi stranieri, come la rivista della Secessione Viennese Ver Sacrum) si fondava sulla convinzione che la parola scritta andasse veicolata da una forma grafica aderente alla sua qualità espressiva, in un certo senso che l’opera stampata comunicasse – prima ancora che attraverso i suoi contenuti – attraverso la qualità e la bellezza della sua forma: da qui l’idea di far dialogare la veste grafica, la qualità letteraria e quella tipografica, che contribuivano insieme a rendere L’Eroica una rivista raffinata e di pregio, destinata ai cultori dell’arte. Un’impresa editoriale coraggiosa ma partita con mezzi finanziari inadeguati, come dimostra la poca regolarità nell’uscita dei numeri, il variare dei recapiti e dei tipografi e l’uscita di numeri doppi o tripli per rimediare ai ritardi.
Fin da subito Cozzani scelse di privilegiare la xilografia, una pratica antica che era in contrasto con le moderne tecniche di fotoriproduzione in uso nell’editoria e che era stata da tempo trascurata in Italia: L’Eroica diventò il centro di sperimentazione e rilancio di questa tecnica espressiva, ospitando sulle sue pagine in un primo tempo le eleganti incisioni di Adolfo De Carolis e poi, soprattutto dopo la guerra, anche i lavori di altri artisti che si muovevano nel senso di una maggiore modernizzazione del gusto (Lorenzo Viani, Arturo Martini, Adolfo Wildt, Benvenuto Disertori, Enrico Prampolini), dedicando numeri monografici anche ad artisti stranieri (Maseerel, Brangwyn) o ad artisti che si muovevano nella direzione di una riscoperta della cultura tradizionale italica e locale, come Mario Delitala, al quale nel 1931 venne dedicato il numero monografico 158, con dodici xilografie stampate dai legni originali più la copertina.
Questo non sarà l’unico numero della rivista in cui compariranno i suoi lavori: nel numero doppio 192-193 del 1934 saranno pubblicate altre quattro sue xilografie originali; nel numero 215-216 del 1936 troviamo una xilografia originale e una riproduzione; infine nel numero 235-237 del 1938 compare ancora una riproduzione di una sua xilografia. Cito queste informazioni in modo un po’ pedante a beneficio dei collezionisti, che si domandano magari se le immagini a corredo della Rassegna siano stampe originali (tratte dalle matrici in legno) o riproduzioni fotomeccaniche di stampe. Per i collezionisti duri e puri, infatti, la differenza non è di poco conto. Ebbene, vi compaiono le une e le altre e quasi sempre la Redazione lo specifica nell’indice. Le xilografie pubblicate nei numeri delle prime annate sono inserite come elementi decorativi del testo o come copertina; solo dal 1924 in poi vengono inserite fuori testo, come è il caso di quelle di Delitala. Altra informazione interessante per un collezionista, che ho trovato a fatica in rete, è il numero di copie stampate, che si attesterebbe intorno alle 500 copie per numero. Chi invece volesse avere un’idea completa dei contenuti della rivista, desunti dagli indici di ogni numero, può consultare qui la pubblicazione online messa a disposizione della Biblioteca Braidense.
Dicevo che nel 1931 a Delitala venne dedicato un numero monografico di questa raffinata rassegna. Per le sue xilografie qualcuno ha parlato di espressionismo arcaicizzante: certamente vi troviamo echi delle ricerche espressioniste tedesche, soprattutto del filone realistico di matrice populista (vedi qui sotto le incisioni di Kathe Kollwitz, un’altra grande artista che amo molto), ma anche il recupero della cultura figurativa tradizionale novecentista.
Leggendo la sua biografia scopriamo che il giovane Delitala, già convinto a intraprendere la strada della pittura, inizia a lavorare a Milano ma decide di tornare in Sardegna nel 1911, proprio quando nella città aveva appena preso forma il fenomeno Futurista: il segno, forse, di come il legame con la sua terra fosse ben più forte dell’interesse verso le sperimentazioni troppo avanguardiste.
Infatti dopo la guerra decide di visitare un po’ a cavallo, un po’ a piedi, un po’ con un asinello e un po’ in carrozza (cito da una sua memoria) i paesi della Barbagia e della Baronia: questo viaggio nella Sardegna più profonda gli fornirà spunti per tutta la produzione incisoria degli anni successivi: volti, personaggi, feste paesane, confluiranno nelle figure archetipe delle sue incisioni, vagamente primitive. Facevo il raccoglitore di episodi e di costumi, dirà Delitala in seguito, ma le sue xilografie non hanno niente di folcloristico e di accattivante. La cultura isolana tradizionale diventa una sorta di mondo arcaico nel quale convivono riti antichi e spiritualità religiosa. Le sue xilografie sono uno straordinario patrimonio di memorie etniche, un’epopea della Sardegna antica, anche se non sono esenti, a mio parere, da una certa retorica dei valori tradizionali italici propagandata dal Fascismo, soprattutto quelle degli anni Trenta.
Secondo quanto scrive lo storico Corrado Maltese nel suo saggio Storia dell’Arte Italiana (1785-1943), negli anni Trenta l’arcaismo rintracciabile in forme artistiche primitivizzanti ed espressioniste (come in quelle di Delitala) si prestava ad essere interpretato in due modi diversi: agli occhi del gruppo politico e sociale che deteneva il potere in Italia, poteva più o meno agevolmente essere presentato come un riflesso e quasi la controprova o l’esaudimento dei suoi persistenti richiami alla nobiltà della tradizione e al nazionalismo, quindi come una nuova mitografia italica; ai dissidenti la stessa mitografia poteva apparire, per contro, una necessaria evasione nel mondo della fantasia pura.
Delitala nel Ventennio non fu certo un artista sulle barricate, come dimostrano anche i prestigiosi incarichi che gli furono affidati: Direttore degli Istituti d’Arte di Urbino (Salvatore Fiume e Remo Brindisi si diplomano sotto la sua direzione) e poi Perugia, Pesaro, Sassari e infine nel dopo guerra, dal 1949 al 1961, Palermo. In ognuna di queste sedi istituì corsi di incisione e inaugurò l’insegnamento di tecniche più libere ed espressive. Ma appena poté, raggiunta la pensione, ritornò nella sua amata Sardegna, che sognava come oasi di pace e di lavoro. Il legame affettivo ininterrotto con la sua terra si era espresso negli anni con l’impegno profuso nella decorazione di numerosi ambienti pubblici (nel Palazzo Comunale di Cagliari, in quello di Nuoro e dell’Università di Sassari), ma anche nella realizzazione di tele, pale d’altare e trittici per numerose chiese (il Duomo di Lanusei, la Cattedrale di Alghero). Passando poi dal sacro al profano, ricordo che è suo anche il disegno per il primo manifesto dell’azienda vitivinicola Zedda-Piras, ancora oggi riportato sull’etichetta del Filu e ferro, che tutti noi continentali in vacanza in Sardegna abbiamo assaggiato.
La sua attività di artista dagli anni ’60 alla sua morte, abbandonata l’incisione su legno, continuò a trarre ispirazione dalla vita contadina e dal folclore sardo. Credo comunque che le xilografie costituiscano la parte migliore della sua produzione, per le quali tra l’altro negli anni Trenta ha ottenuto numerosi riconoscimenti anche internazionali (premio per l’incisione a Varsavia nel 1936, a Parigi nel 1937 e Biennale di Venezia nel 1938).
Sono interessanti alcune sue notazioni sul modo di lavorare le matrici lignee, prevalentemente di legno di pero o di bosso: gli arnesi per l’incisione non li uso solo per scavare tra le linee di un disegno finito, ma anche per immettere segni nuovi, ispirati sul momento e creduti necessari per dare maggiore significato al movimento tonale e più efficacia al racconto o alla drammaticità della scena. (…) nell’incidere silografico non si può mai aggiungere nero, si può solo lasciarlo o toglierlo nelle zone più necessitanti di effetti della composizione; ossia aggiungere bianco scavando sul nero come si avesse il gesso sulla lavagna. Tutto l’insieme di questo lavoro procura continue difficoltà, occorre avere carattere non impulsivo; i segni ottenuti in fretta con imprudenza non si possono più togliere (…). La silografia vuole uomini dal polso fermo e cauto, dall’occhio vigile e senza pentimenti.
La mia xilografia dal titolo La pigiatura è comparsa nel numero 192-193 de L’Eroica del 1933 con il titolo Campagna; ogni tanto si trovano in vendita a poco esemplari sciolti di questa rassegna, che si riconoscono perché sono stampati su carta avorio con filigrana Eroica e spesso riportano stampato in basso il titolo e l’autore; il mio esemplare però è firmato, ha una dedica, è datato 1934 , è su carta priva di filigrana e non presenta scritte stampate sottostanti: si tratta certamente di una tiratura (limitata a pochi esemplari, a quanto ne so) eseguita dall’artista stesso. Attenzione alle fregature: vi sono in circolazione fogli tratti da una pubblicazione del 1987 (forse fata in occasione del suo centesimo compleanno) di Ettore Gasperini Editore, una raccolta di 58 xilografie su fogli sciolti (più che xilografie, temo riproduzioni di xilografie originali) che si riconoscono invece per la scritta stampata in corsivo in basso. Il loro valore è pressoché nullo.

Per chi volesse saperne di più consiglio la monografia di Maria Elvira Ciusa – L’opera xilografica di Mario Delitala – 1987 Libri Scheiwiller