Quel gran genio di SALVATOR ROSA

_DSF3609cDevo essere sincera: questa grande incisione di Salvator Rosa (La crocifissione di Policrate) non l’ho acquistata per desiderio, come le altre, ma me la sono ritrovata in un lotto abbinata ad una bella acquaforte di Canaletto, che era il mio vero obiettivo. Non l’avrei mai presa come prima scelta: molto distante dai miei gusti sia per il soggetto (un episodio della storia antica) che per l’impianto un po’ troppo artificioso e solenne delle figure, anche se certo di grande impatto per le dimensioni considerevoli (475×720 mm). Ma tant’è. Dunque mi sono avvicinata all’autore – che conoscevo in modo superficiale come pittore – solo in un secondo momento e senza grandi spinte emozionali, scoprendo invece motivi di grande interesse nella sua biografia di artista un po’ guascone, di spirito ribelle e schietto, dalla poliedrica attività.

Salvator Rosa (1615/1673) per parecchio tempo è stato ricordato come pittore di battaglie e di paesaggi (questi ultimi apprezzati soprattutto in Inghilterra fra il Settecento e l’Ottocento per l’atmosfera pre-romantica che li pervade) o, al più, per le magherie, dipinti popolati da streghe, mostri e demoni intenti a pratiche magiche ed esoteriche, soggetti molto rari a quell’epoca. Oggi Salvator Rosa se ne avrebbe a male, lui che voleva essere ricordato soprattutto come pittore di pale d’altare, di figure e di grandi storie. Ma anche questo aspetto, se gliene avessero dato l’occasione, sarebbe riduttivo e infatti oggi gli studiosi ce ne restituiscono un’immagine ben più articolata ed interessante: non solo pittore, incisore, artista indipendente, ma anche attore, poeta, letterato, libero pensatore; insomma, un artista dal carattere straripante, capace di gettarsi a capofitto in ogni cosa che faceva imprimendovi un sigillo inconfondibile di energia vitale e controcorrente. Ad avvalorare l’immagine di artista fuori dagli schemi anche le numerose leggende inverosimili che sono state costruite su di lui, come l’improbabile brigantaggio o la compartecipazione al fianco di Masaniello nell’insurrezione del 1647.

Ecco una serie di autoritratti dell’artista: i suoi sguardi diretti e magnetici non lasciano dubbi sulle caratteristiche della sua personalità, forte ed eclettica tanto da crearsi in egual misura estimatori e nemici (il potente Bernini, per esempio, che fu la causa, a quanto si sa, della sua decisione di spostarsi da Roma a Firenze alla corte dei Medici).

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Rosa poteva permettersi di indossare con uguale padronanza i panni dell’attore (celeberrime le sue interpretazioni della maschera di Pascariello, o gli spettacoli e le feste organizzate nella sua casa fiorentina dove aveva fondato la celebre Accademia dei Percossi), quelli dell’artista letterato (le sette Satire in cui espose i suoi orientamenti in campo artistico e filosofico e condannò la piaggeria, l’immoralità dei costumi e l’insofferenza per l’oppressione straniera spagnola e francese), e anche quelli di artista ribelle, e indipendente rispetto alla committenza, nei confronti della quale non aveva timore a reclamare prezzi dignitosi per le proprie opere. Sappiamo che rifiutava di trattare il prezzo prima di iniziare un lavoro, non accettava caparre e poi, ad opera finita, chiedeva cifre importanti e non sempre riusciva a vendere.  Ben conscio del valore della propria arte, era solito cominciare dipinti anche di grande impegno e dimensioni senza una committenza e senza la certezza di una vendita immediata: una visione del rapporto fra artista e committente –  la sua – molto moderna per quei tempi.

Salvator Rosa nasce e si forma a Napoli, negli anni in cui la città partenopea stava metabolizzando il passaggio di Caravaggio, le cui opere costituivano il punto di riferimento per la gran parte degli artisti, in particolare per Giuseppe de Ribera; proprio la frequentazione della bottega di de Ribera fu momento importante nella formazione di Rosa, anche per la sua attività di acquafortista. E’ probabile infatti che lì abbia ricevuto i primi rudimenti della tecnica incisoria, che lo interessò a più riprese nel corso della vita, anche se in modo non continuativo. Oggi Salvator Rosa è considerato una dei tre maggiori incisori italiani del Seicento, insieme a Pietro Testa e a Giovanni Benedetto Castiglione (il Grechetto); con quest’ultimo, di poco più anziano, Salvator Rosa era entrato in contatto personalmente e di certo aveva avuto modo di guardare con attenzione le sue incisioni. Ma nella produzione di Rosa troviamo anche echi delle incisioni di Callot e di quelle di un altro artista minore, Filippo Napoletano: le figurine di soldati tratte dai Capricci e habiti militari di quest’ultimo (vedi le prime due illustrazioni sotto) hanno sicuramente ispirato le incisioni per le quali Rosa è famoso, quelle dei soldati tratte dalla serie Diverse Figure o Capricci (1656/1658), di grande successo e ampiamente copiate e riprodotte nei secoli successivi. Spesso se ne trovano in vendita delle copie in controparte di autori anonimi. Le acqueforti originali di questa serie recano tutte il monogramma inciso: si conoscono solo pochi esemplari avanti lettera del primo stato.

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Molte delle acqueforti di Salvator Rosa successive a questa famosa serie sono in stretta relazione con le sue opere pittoriche: erano quindi concepite da Salvator Rosa sia come forma di studio e preparazione di opere pittoriche che ancora non avevano visto la luce (anche se non tutti i soggetti delle acqueforti riuscirono a essere poi sviluppate in dipinti), che come mezzo di promozione e diffusione di opere già realizzate. Tutte, ai tempi, furono molto apprezzate e ricercate.

L’acquaforte La crocifissione di Policrate, secondo quanto scritto dallo stesso Rosa in una lettera, è stata realizzata fra il 1661 e il 1662 insieme all’altra sua incisione di grande formato, La morte di Attilio Regolo; entrambe hanno per soggetto episodi della storia antica con forti valori etici e morali, così come molte altre della maturità: l’artista aveva da tempo abbandonato, sdegnato, la vita di corte, nelle Satire si era scagliato contro il servilismo, la corruzione, la vanagloria e la sua visione pessimista della vita trovava sempre più conforto nel pensiero della filosofia Stoica: l’uomo non può scegliere il proprio destino, né opporsi o sfuggirgli; l’uomo saggio accetta la propria sorte perseguendo le virtù senza cedere alle lusinghe delle vanità terrene. Ecco quindi spiegata la scelta del soggetto iconografico, poi riproposto in un grande dipinto oggi conservato all’Art Institute di Chicago.

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La leggenda racconta che Policrate, tiranno di Samo, viveva ricchissimo e felice ed era considerato un uomo molto fortunato; questa gran fortuna si diceva che sarebbe stata bilanciata inevitabilmente da una grande sventura; così ricevette il consiglio di sbarazzarsi almeno di un oggetto veramente prezioso, in modo che tale perdita rappresentasse una grande sventura e ne scongiurasse una peggiore. Policrate decise di privarsi di un anello a cui era molto affezionato gettandolo in mare. Poco tempo dopo, ad un banchetto, gli fu servito un grande pesce al cui interno fu ritrovato proprio l’anello abbandonato. La fortuna non lo aveva lasciato neanche in questa occasione ma all’ultimo gli girò le spalle e la sua fine fu tragica: catturato e crocifisso dai nemici persiani.

Di questa acquaforte esiste un solo esemplare di primo stato, anteriore alla rifinitura a puntasecca, conservato a Parigi. Esistono invece molti disegni e studi preparatori, compreso quello definitivo a carboncino utilizzato per la trasposizione sulla lastra, che è conservato nel Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi.

Il corpus completo della opera incisa di Salvator Rosa annovera oggi 110 acqueforti; una buona parte delle lastre in rame (85 per la precisione) sono conservate nella Calcografia Nazionale, alla quale sono pervenute nel 1788 (quando ancora si chiamava Calcografia Camerale), vendute dalla vedova dell’ultimo erede. Rosa infatti non ha mai dato via i suoi rami, che voleva fossero fonte di reddito per la famiglia anche dopo la sua scomparsa, come effettivamente è stato per quasi un secolo. Le lastre sono state ristampate più volte, dopo la sua morte e per tutto il secolo successivo, fino al 1780 (poco prima che venissero vendute alla Calcografia), quando Carlo Antonini ne stampò una serie completa – stampa peraltro di ottima qualità – dedicandola al conte Stanislao Potocki: la dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che anche dopo cento anni avevano ancora un buon mercato. Credo che la mia acquaforte appartenga a questa serie, o per lo meno sia stata stampata in questo periodo: la carta vergata presenta infatti una filigrana con stemma coronato e la scritta JHonig&Zoon simile a quella presente in alcuni documenti d’archivio degli anni 1773/1775 che ho trovato in rete. Probabilmente il foglio faceva parte di una serie completa: a conferma di questa supposizione, le evidenti tracce sul lato sinistro di fori da rilegatura, oltre al fatto che il grande foglio di carta pesante presenta una piega da rilegatura, che probabilmente lo uniformavano alle dimensioni delle altre acqueforti più piccole (due delle quali, sciolte ma con i medesimi fori, erano nello stesso lotto che ho acquistato). Pur di buona qualità, si capisce che si tratta di una stampa postuma anche per la leggerezza dei toni scuri, che hanno perso un po’ di vigore.

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Anche la Calcografia Camerale ha provveduto poi a ristampare più volte le acqueforti di Rosa, ma queste, con segni via via più deboli e sbiaditi, sono contraddistinte dai primi dell’Ottocento da un timbro a secco e sono quindi ben riconoscibili ed hanno – ovviamente – un valore commerciale ancora minore.

Il tema della tiratura e della qualità di una stampa antica è complesso e riservato a pochi veri conoscitori: per valutarne il valore, al di là di quello estetico, bisognerebbe conoscerne la storia e poter operare confronti fra le prime impressioni e quelle postume. Non sempre se ne ha la possibilità. Ci si deve arrangiare raccogliendo informazioni qua e là (meno male che c’è la rete, comunque!), ma ci si sente generalmente impreparati e timorosi di prendere delle cantonate. Anche questo è uno dei motivi per cui le stampe antiche hanno oggi così poco appeal, i collezionisti si stanno estinguendo e i prezzi di mercato sono crollati a picco. Chiudo con un confronto che ho trovato su un vecchio numero dei Quaderni del conoscitore di stampe (la mia bibbia, anche se piuttosto datata): i particolari affiancati di una acquaforte di Mantegna nelle varie tirature, giusto per dare un esempio.

tirature diverse

Per chi volesse approfondire la conoscenza sulle acqueforti di Salvator Rosa:

Rosa-rame. Salvator Rosa incisore nelle collezioni dell’Istituto nazionale per la Grafica. Maria Rosaria Nappi – Gangemi editore – 2014

Salvator Rosa incisore – Mario Rotili – Società editrice napoletana – 1974

La crocifissione di Policrate
Salvator Rosa – La crocifissione di Policrate – 1661-1662 – Acquaforte rifinita a puntasecca – mm 475 x 720 – carta vergata JHonig&Zoon con filigrana stemma coronato

2 pensieri su “Quel gran genio di SALVATOR ROSA

  1. Scoperto da poco questo magnifico blog. Complimenti vivissimi per l’accuratezza, la divulgazione e ovviamente la tematica!

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