Marcel Roux nasce a Lione nel 1878. La città è una delle tre, insieme a Torino e a Praga, ai vertici di quello che viene chiamato il triangolo della magia bianca, ma è anche un luogo permeato di misticismo dalla notte dei tempi: culla del culto di Cibele e poi del culto mariano, nel Medioevo vede la nascita della comunità valdese (che prende le mosse proprio da questa città) e diventa presidio dei Templari. Difficile dire se è nato prima l’uovo o la gallina, se sia stato il magnetismo esoterico del luogo o se siano stati gli uomini che l’hanno abitata, fatto sta che a metà del Settecento in città si contavano almeno tre logge massoniche (ad una era stato affiliato anche Giacomo Casanova), nel 1786 Cagliostro vi aveva fondato la sua, chiamata La Sagesse Trionphante e alla fine dell’Ottocento Lione pullulava di medium e di spiritisti di ogni genere. La città aveva perfino dato i natali a quel bizzarro personaggio che è stato Joséphin Sar Péladan (a metà strada tra il critico d’arte, il santone e il ciarlatano, animatore dell’Ordine Cabalistico della Rosa Croce intorno al quale girava l’ambiente artistico e letterario simbolista francese) ed era considerata uno dei luoghi cardine dell’esoterismo decadente. Le sue strade strette e i suoi traboules (passaggi coperti) nascondevano sette segrete in cui spiritisti e teosofi si nutrivano dell’ossessione dell’aldilà cercando interazioni tra scienza, magia e religione. Ma era anche, alla fine dell’Ottocento, una sorta di nuova Ville Lumière, simmetrica a Parigi, che poteva addirittura fregiarsi di quest’appellativo in modo ancor più legittimo, visto che ospitava il primo laboratorio dei fratelli Lumière nonché il primo cinematografo, il primo vero luogo dove immagini fatte di luce riuscivano a prendere vita.
La Luce e il Buio, il Bene e il Male, la Vita e la Morte, la Fede e la Magia: questo il contesto. Non è un caso quindi che la maggior parte delle quattrocento incisioni di Marcel Roux ruotino intorno a questi temi, diano forma ai demoni delle passioni e ai peccati dello spirito e della carne. Ma per completezza è giusto ricordare che questi temi circolavano in Francia già dalla metà dell’Ottocento ed erano il leit-motiv di molta produzione letteraria, artistica e musicale legata all’ambiente simbolista e decadente: così come troviamo il tema della Danza macabra in un brano musicale del 1859 di Franz Liszt e in un breve poema sinfonico composto nel 1874 da Camille Saint-Saëns, ci ricordiamo di La danse macabre contenuta nei Fleurs du mal di Baudelaire o delle straordinarie incisioni di Rops (di cui ho parlato qui,) o di Rodolphe Bresdin. Se vogliamo andare ancora indietro nel tempo, troviamo un filone artistico e letterario legato ai temi del fantastico e del macabro che parte da La tentation de Saint’Antoine di Callot, passa dai Capricci di Goya, si nutre delle fantasie di Fussli e di Blake e approda alle illustrazioni del Faust di Delacroix (qui), a quelle di Boulanger per Victor Hugo e alle immagini visionarie di Grandville, di Meryon, di Chifflart, di Dorè o di Redon. E ne ho dimenticato senz’altro tanti altri.
Nulla di nuovo sotto il sole, saremmo quindi tentati di dire per Roux e forse questa è la ragione per cui la storia si sta dimenticando di lui, ultimo epigono di una affascinante stagione partita molti decenni prima. A questo proposito consiglio di sfogliare la pubblicazione Fantastiques! – L’Estampe visionnaire, edita in occasione di una mostra parigina del 2015, una vera gioia per gli occhi degli amanti del genere. Come dice l’autrice, Valérie Sueur-Hermel, la stampa in bianco e nero ha servito l’estetica fantastica proponendo agli artisti stanchi della troppa realtà un’alternativa salutare. Più vicina all’interiorità, è stata sia un rifugio che uno specchio per gli artisti, che le hanno affidato le proprie fantasie e il vagabondaggio dell’immaginazione.
Tutto ciò è vero anche per l’intrigante Marcel Roux, che ho scoperto solo di recente: alla consapevolezza della mia ignoranza si è affiancato subito dopo lo stupore nel constatare il suo oblio come artista (anche in patria!), oblio appena mitigato dalla mostra retrospettiva a lui dedicata nel 1991 nella sua città natale. La produzione incisoria di questo artista potrebbe a mio parere confrontarsi senza fare brutta figura a quella di altri più famosi e noti, come Klinger, Rops, Ensor o al suo coetaneo Kubin.
Dalla sua infanzia avventurosa e dai molteplici viaggi con il padre, un cantante lirico che girava in tournées per i teatri di mezza Europa – in particolare in Russia – Marcel Roux formò una fede cristiana e anticonformista, che ruotava intorno al concetto del Male, del Diavolo che si insinua nella coscienza dell’uomo e che spesso prende le sembianze della donna, simbolo di tentazione. Se il Diavolo esiste, allora Dio esiste. Attraverso la paura del Diavolo, si arriva a Dio. La logica ricorda tanto quella dei predicatori che hanno portato il loro gregge a Dio istigando la paura del diavolo, o quella dispiegata con profusione di particolari raccapriccianti nei Giudizi Universali o nelle immagini dei gironi infernali dipinti nelle chiese medievali. L’immagine del Male diventa memento per la salvezza dell’anima e quindi, per semplice traslazione, anche la rappresentazione dei vizi e dei mali della società (la prostituzione, l’alcool, l’avarizia) è la via per la redenzione. A queste tematiche Roux dedica le 8 serie di acqueforti realizzate fra il 1904 e il 1913 (Estampe fantastiques 1904, Danse macabre 1905, Les Maudits 1906, Filles de joie 1909, Contre l’alcool 1913 e altre). Per avere un’idea abbastanza completa della sua produzione è possibile consultare il sito online Muséee Marcel Roux: i curatori stanno cercando di mettere in rete, a disposizione di tutti, un catalogo delle sue opere che però, ad oggi, è ancora in fieri.
A instradare Marcel Roux giovanissimo verso la tecnica dell’acquaforte, dopo la sua folgorazione per le incisioni di Rembrandt, fu il pittore lionese e amico Paul Borel, oggi artista sconosciuto alle masse ancor più di Roux (del quale ho trovato pochissimo in rete, qualche paesaggio inciso all’acquaforte). Si dice che proprio Borel, preoccupato per il crescendo di allucinazioni e immagini visionarie prodotte dalla mente dell’amico, sopraffatta o sedotta dall’idea di peccato, lo abbia consigliato di andare a parlare con un prete parigino, confidando che quest’ultimo riuscisse a sedare le sue ossessioni. Le incisioni di Roux del primo decennio del Novecento sono popolate in effetti, oltre che dalla figura onnipresente della Morte/scheletro, da mostruose donne-ragno o donne-anfibio divoratrici di anime, assetate di sangue (come quelle della mia acquaforte), da donne-demoni responsabili di tutti i misfatti della società o da donne vittime del godimento umano, in questo caso da redimere. Solo in seguito la figura femminile acquisterà nei suoi lavori una dimensione meno diabolica e perversa. Povera moglie – perché una moglie l’ha avuta! – mi verrebbe da dire! Chissà cosa pensava dei disegni del marito, se ne sorrideva o se sentiva di esserne l’incolpevole ispirazione.
Roux era un fervente cristiano, sempre in bilico tra la disperazione nei confronti del male e la salutare speranza di redenzione, un artista credente ma con un animo tormentato, appassionato lettore delle opere di Flaubert, Edgar Allan Poe o Baudelaire (dei quali ha illustrato anche le opere). Un perfetto esempio di artista decadente. Nelle sue incisioni, soprattutto in quelle di soggetto religioso (Le sept paroles, per esempio) si sente l’influenza di Rembrandt, da cui è stato fortemente ispirato: la luce entra in queste tavole cupe e dolorose e le illumina a sprazzi violenti, accentuandone il loro valore moralizzante. Sono dell’idea comunque che i soggetti delle serie precedenti al 1912/13, quelli legati ai temi macabri/fantastici, siano più intriganti rispetto alla sua produzione successiva, che si sposta maggiormente verso i temi religiosi.
La Prima Guerra Mondiale, alla quale Roux partecipa tornandone come tanti altri artisti devastato nel corpo e nello spirito (viene riformato per disturbi psicologici), segna infatti una cesura nella sua produzione. Per motivi di salute abbandona l’incisione all’acquaforte per la xilografia. Di questi anni sono le illustrazioni del Cantico dei Cantici e la serie di disegni del 1915 “Visions et scenes de guerre”, che dovevano nelle sue intenzioni trasformarsi in litografie poi mai realizzate. Questi ultimi spostano l’accento sull’umanità sofferente e in preda all’angoscia: sono immagini collocate in un’imprecisata e ipotetica Gerusalemme, fuori dal tempo, i cui titoli rimandano a esperienze emotive vissute in prima persona: Angoscia, Fatica, Furia, Terrore, Preghiera, Disperazione, Abbandono, Rinuncia. La sua attività artistica continua dopo la guerra – ma in tono minore e fra problemi psicologici e fisici – fino al 1922, anno della sua morte.
La mia acquaforte non appartiene ad una serie specifica; si inserisce però a pieno titolo fra quelle “visionarie” della sua prima produzione, sia per il soggetto che per la data di realizzazione, 1909. Già il titolo – Guet-apens, ovvero imboscata – ci preannuncia la visione di qualcosa di imprevisto e sottilmente inquietante. L’occhio in cerca di emozioni forti è poi pienamente appagato: la luce squarcia all’improvviso il buio di un antro arcaico pieno di ossa umane, mostrandoci le creature spaventose che lo abitano, mostri antropomorfi con il corpo di lucertola e il busto di donna che stanno per banchettare con il corpo di un uomo prigioniero, nudo e apparentemente privo di sensi. Sullo sfondo, all’ingresso della caverna, una misteriosa donna-centauro con le braccia levate verso la luce sembra intenta in un rito di ringraziamento. Fra le poche incisioni di Roux che circolano sul mercato, sono contenta che mi sia capitata in sorte – e dico sorte perché ogni acquisto è il risultato di una buona dose di casualità – una delle sue più accattivanti, una piuttosto significativa della sua produzione, corredata tra l’altro di firma autografa e numerazione.
Speravo di raccattare qualche altra informazione su di lui in biblioteca, ma accidenti ci si è messo di mezzo il Coronavirus: biblioteche chiuse fino a data imprecisata. Poi con sollievo ho trovato su ebay il testo edito in occasione della sua mostra di Lione; di slancio e per poco l’ho acquistato. Peccato che, sempre forse per il Coronavirus, il libro abbia fatto perdere le sue tracce in un posto imprecisato tra Parigi e Milano. A questo punto non mi resta che aspettare la fine della pandemia per completare il profilo di questo artista, che merita davvero qualche altro approfondimento.
Ah, per chi riuscisse a procurarselo, il testo perduto è
- Marcel ROUX – VISIONS FANTASTIQUES – Catalogue de l’exposition au Musée de l’Imprimerie et de la banque, à Lyon, février mars 1991.

Bellissimo articolo.Non solo ben scritto ma ricco di informazioni e di spunti per chi volesse indagare ulteriormente quell’antro buio che dovette essere la mente del nostro Roux.
Purtroppo la storia dell’arte, nel suo divenire, fa molte vittime relegando ad un oblio ingiusto e a volte colpevole artisti degni di maggior nota.Alcuni nomi oggi famosissimi hanno rischiato una definitiva condanna al silenzio se non fosse stato per qualche critico che li ha “ripescati” intuendone ruolo e valore. Di Caravaggio tutti sanno. In vita fu una meteora che attrasse molti. Dopo morto fu in pratica dimenticato finché Longhi non lo ripropose come uno dei punti di svolta dell’arte del 600 e non solo di quella. Meno nota la vicenda di Vermeer, oggi considerato uno dei pittori più grandi ma del tutto negletto in vita. “I biografi del tempo non lo menzionano neppure; il suo nome fu dimenticato, e riemerse solo dopo la metà dell’Ottocento.” (da Nati sotto Saturno di Rudolf e Margot Wittkower).Roux non é Caravaggio e neppure Vermeer. Ma forse un giorno
ci sarà qualcuno che lo farà salire di almeno un gradino sul podio dell’arte e della sua storia.
Fiammetta ha già dato in tal senso il suo contributo.
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Stupenda. Sono anch’io un ammiratore di Roux, del quale ho posseduto molti anni fa una acquaforte – per necessità poi venduta.
Si potrebbe consultare anche il Bailly-Herzberg , L’Estampe en France 1830-1950, (volume che peraltro anche il gallerista e commissaire-priseur A. Bonafous Murat possedeva in copia, e che aveva glossato con vaste e feroci correzioni, dunque forse non del tutto affidabile 🙂 ) , ma, avendolo qui con me, garantisco che non aggiunge praticamente nulla a quanto hai con tanta cura ed entusiasmo descritto.
Tra gli incisori in qualche modo “maledetti”, o solo tormentati, che hai opportunamente citato, si potrebbe poi inserire Joseph Apoux (1846-1910), addirittura colpito da ostracismo censorio per i soggetti da lui trattati. Chissà che non te ne capiti uno tra le mani nei prossimi tempi.
Quanto a Chifflart, il mio giudizio rimane sospeso …
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Sono andata a cercare Joseph Apoux, (grazie di avermelo segnalato) che in effetti non conoscevo. Certo potrebbe degnamente stare nel gruppo…Nelle incisioni che ho trovato in rete personalmente però riscontro un tasso di tormento minore (rispetto a Roux) e molte strizzatine d’occhio. O forse le sue donnine sataniche sono un po’ troppo graziose e ovvie. Certo, se me ne capitasse l’occasione, una sua incisione non me la farei scappare. Sono giunta alla conclusione che i decenni tra il 1890 e il 1920 sono il territorio da esplorare che più mi interessa. Grazie delle tue osservazioni sempre puntuali.
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