Ho pensato spesso – con un ragionamento certo un po’ semplicistico – che gli artisti possono essere divisi in due grandi categorie: quelli che tutta la vita hanno esplorato un solo linguaggio artistico e quelli che ne hanno sperimentato tanti. Per entrambe le tipologie ho un’ammirazione sconfinata, sia per chi ha speso la propria vita approfondendo un unico ambito espressivo, riuscendo a saldare creatività e virtuosismo tecnico, sia per chi si è mosso in campi diversi, trovando in ognuno uno spazio coerente di espressione personale. Hans Richter (1888/1976) è senz’altro un artista del secondo gruppo, con una biografia a dir poco impressionante, tanto che oggi è giustamente considerato uno dei maestri del modernismo in Germania.
Disegnatore, incisore, pittore, regista, professore, scrittore, tutta la sua vita si è mossa seguendo il ritmo delle Avanguardie del primo Novecento e il flusso della storia: a Berlino negli anni ’10 con gli Espressionisti (ma con uno sguardo aperto al Cubismo e al Futurismo di Marinetti, del quale Richter distribuì nelle strade di Berlino il Manifesto); nel 1915 in trincea sul fronte, poi nel 1916 a Zurigo, con Tristan Tzara e Hugo Ball a fondare il Movimento Dada; negli anni ’20 di nuovo in Germania, a sperimentare in campo cinematografico ma anche a diffondere con la rivista G (che sta per Gestaltung, Creazione, la prima rivista d’arte moderna in Germania di cui è stato il promotore) il linguaggio delle Avanguardie, della nuova architettura, del design industriale e del cinema; negli anni ’30 artista militante, osteggiato dai Nazisti perché ebreo e con simpatie comuniste; negli anni ’40, trasferitosi negli Stati Uniti, attivo con il gruppo degli American Abstract Artists. Poi una lunga carriera come cineasta (premio alla Biennale di Venezia nel 1947 per il film Dreams that money can buy, in collaborazione con Légèr, Duchamp, Ernst, Calder) e come Direttore del Film Institute a New York, portando avanti in parallelo la sua attività di pittore.
Ugualmente impressionante il numero di artisti che ha conosciuto e con i quali si è confrontato o ha collaborato nella sua lunga e piena carriera, mostri sacri da far tremare le gambe: Marinetti, Tzara, Ball, Gabo, Janco, Ejzenstein, Man Ray, Arp, Van Doesburg, Mies Van der Rohe, Malevic, Schwitters, Grosz, John Cage, Jean Renoir e perfino George Méliès, (conosciuto al volo nel 1937 appena prima che morisse, con il quale avrebbe voluto girare – addirittura – un film sulle avventure del Barone di Munchausen) oltre ai già citati Légèr, Duchamp, Calder, Ernst. Certo, siamo nei primi decenni del Novecento, le Avanguardie artistiche si succedono una dopo l’altra e sono fuochi d’artificio di creatività e innovazione, gli artisti sperimentali di ogni parte d’Europa si conoscono, si frequentano, si ammirano o si detestano, influenzandosi reciprocamente in un’intricata mappa di scambi intellettuali: Richter è pienamente inserito in questo flusso, ma in più, di suo, ha una personalità curiosa e poliedrica e un carattere socievole, che lo portano facilmente a confrontarsi con gli altri.
Due dei suoi interessi principali, la pittura e il cinema, sono solo in apparenza due mondi lontani, come lui stesso precisa:
Considero il cinema come una parte dell’arte moderna, soprattutto come un’arte visibile. Esistono problemi e sensazioni che appartengono esclusivamente alla pittura ed altri che appartengono esclusivamente al cinema, ma esistono anche problemi che si legano e si compenetrano. Ho sperimentato (…) che certi impegni della pittura possono essere realizzati solamente nel film (…) il film è lo sbocco di alcune delle strade indicate dalla pittura che non hanno trovato un completamento nelle arti figurative. (…) Pittura e cinema sono la stessa cosa per me; esse si realizzano attraverso la composizione di immagini poetiche. (…) Il film è pittura in movimento (…).
In effetti, se guardiamo le sue opere pittoriche del 1919/1920, il cinema, considerato nella sua essenza di immagine in movimento, ci sembra proprio il loro sviluppo più naturale: pur essendo partito dalla pittura figurativa di matrice espressionista con la serie dei Visionäre Porträts – ritratti espressionisti nella pennellata ma realizzati al crepuscolo, quando i colori sono quasi indistinguibili, in modo da far emergere l’occhio interiore piuttosto che l’occhio esteriore, come dirà lui stesso – Richter si sposta velocemente verso la pittura astratta, alla ricerca di forme più universali. I suoi primi lavori astratti del 1919 sono dei rotuli, dei lunghi fogli di carta, simili a quelli della tradizione cinese, sui quali scorrono sequenze di forme geometriche astratte (Preludium del 1919, per esempio, o Fuga del 1923).
Le sequenze di forme astratte dei suoi rotuli suggerivano naturalmente il concetto di sviluppo del tempo: in breve, infatti, intuisce che la cinepresa gli può permettere più compiutamente di esprimere una melodia di forme in movimento. Ecco quindi che già nel 1921 realizza il primo film astratto della storia, “Rhythmus 21” – il primo di una serie – che fa scalpore per la sua visionarietà ma è un tassello importante nell’evoluzione del cinema: superfici geometriche bianche e nere (che ricordano molto le composizioni neoplastiche di Theo Van Doesburg e di Rietveld) si muovono davanti all’obbiettivo per suggerire il concetto di equilibrio e alternanza, contrasto ed analogia e costituiscono una sorta di melodia visiva. Come dirà in seguito Hans Arp, da questi rotuli scritti si è sviluppato il film astratto. Ma la cosa più importante è che da questi disegni sono nate meravigliose poesie. Appassionato di musica fin da piccolo, Richter lavora quindi negli anni ’20 ad un’arte basata su analogie musicali: i concetti di consonanza, dissonanza, mezzotono e contrappunto vengono esplicitati in pittura e nel cinema attraverso una grammatica fatta di forme e linee in evoluzione:
(…) la cosa che mi importava era suonare la melodia delle forme e dei colori, rivendicando un’assoluta libertà di espressione (…) coglievo il ritmo delle cose più banali, non solo della musica (…) La musica era stata il mio primo incontro con l’arte, con lo spirituale….Bach, Mozart, Beethoven venivano suonati nella casa dei miei genitori. Una sensazione misteriosa. (…) Ritmi, melodie articolate dal movimento dei corpi… un prodigio venuto da un mondo diverso, che mi influenzava…. Che infine influenzò la mia carriera di pittore come, più tardi, quella di regista, scriverà nei suoi numerosi scritti autobiografici.
La carriera di Richter come cineasta sperimentale prosegue fino agli anni ’40 (nel 1971 gli viene conferito il Nastro d’Oro per il cinema a Berlino) e si intreccia con l’attività pittorica (dal 1958 al 1968 vengono organizzate più di 30 mostre personali in Europa) e poi con quella letteraria: ; dal 1961 al 1976, anno della sua morte, pubblica moltissimi testi di memorie autobiografiche e saggi sull’avanguardia Dada, vista attraverso i suoi ricordi: il suo Arte e Antiarte del 1964 è considerato il testo fondamentale per chi vuole capire questo movimento.
La sua attività grafico-pittorica, marginale negli anni fra il 1920 e il 1940, torna in primo piano dopo la guerra e lo accompagnerà fino alla fine della sua carriera, esplicitandosi soprattutto attraverso collages polimaterici. L’attività incisoria, invece, lo vede coinvolto nel primo periodo espressionista e poi negli anni ’60 e ’70. Il catalogo completo delle sue opere è molto lacunoso, anche perché quelle precedenti alla seconda guerra mondiale sono andate distrutte nell’incendio appiccato dai Nazisti al suo atelier nel 1933 o sono state confiscate ed eliminate. Della produzione grafica esiste solo, a quanto so, un frammentario catalogo ragionato: una raccolta pubblicata postuma di disegni a matita, inchiostro o penna e di qualche linoleum – per lo più anteriori agli anni ’40 e da lui stesso fortunosamente salvati – raccolti e commentati proprio nell’anno precedente alla sua morte; non sono riuscita a trovare nulla sulle sue acqueforti e acquetinte, nemmeno nelle numerose pubblicazioni fatte in occasione di mostre o retrospettive. Anche il ricco catalogo della mostra antologica organizzata a Lugano nel 2014, Hans Richter, il ritmo dell’Avanguardia, nulla ci racconta sulla sua attività incisoria.
In commercio si trovano per lo più acqueforti/acquetinte appartenenti a quattro cartelle di incisioni: Faits divers faits eternels (1972) Sur une jambe (1974), Il caos, il gesto, la vita (1975), Mer et amour (1975/76), tutte a mio parere di grande eleganza compositiva e con prezzi molto abbordabili (forse la sua poliedricità creativa non ha giovato in termini di quotazione artistica). La mia fa parte della prima cartella, Faits divers faits eternels, una serie di sette incisioni pubblicate a corredo di un testo del poeta Guy Rosey (del quale sono riuscita a scovare in rete solo che apparteneva alla compagine degli scrittori e poeti Surrealisti francesi, che fu perseguitato dai Nazisti e poco altro), stampato da Georges Visat.
Richter amava ripetere una frase di Ugo Ball (co-fondatore del movimento Dada zurighese): l’arte astratta è la lingua del paradiso: tutte le sue incisioni sono infatti raffinate composizioni astratte di forme che fluttuano nello spazio creando una sorta di danza, forme che si ripetono alternate secondo un elegante ritmo di vuoto e pieno, colore e non-colore, in fondo proprio come nel suo primo film Rhythm 21. Sono per altro anche perfettamente coerenti con i suoi collage materici, soprattutto con quelli della serie Vibra e Dymo, che appartengono agli ultimi decenni della sua attività. Credo che due siano quindi i grandi meriti di Richter: il fatto di essere stato il primo pittore a servirsi della tecnica cinematografica non per raccontare o interpretare, ma in funzione puramente espressiva – per affermare una sua poetica visione del mondo – e la grande coerenza che ha caratterizzato tutte le sue ricerche, declinate nei molteplici mezzi espressivi utilizzati.
Di seguito la cartella completa Faits divers faits eternels e in coda il film Rhythmus 21 (anche se oggi rischiamo di guardarlo con un occhio un po’ smaliziato, perdendone forse la carica rivoluzionaria).
