ANSELMO BUCCI: puntesecche dal fronte

20221017_171043 (2)Gli artisti di ogni epoca hanno avuto l’onere e l’onore di documentare la guerra ma – spesso esonerati dal campo di battaglia vero e proprio per il loro ruolo  – fino all’Ottocento si sono limitati per lo più ad assolvere un compito ufficiale, quello di celebrare e tramandare ai posteri le battaglie dei vincitori. Poiché quasi sempre lo scopo dichiarato al quale erano chiamati era quello di glorificare le vittorie sul campo di un sovrano o di un imperatore (anche quando alcune di quelle vittorie celavano le più atroci carneficine), la distanza tra il cavalletto e il fronte era spesso utile per raffreddare lo sguardo e trasfigurare gli orrori. La distanza si accorcia con l’inizio dell’Ottocento: lo sguardo degli artisti nei confronti della guerra diventa più critico, cambia prospettiva includendo anche gli sconfitti e la sofferenza dei popoli; infine, grazie ai tanti artisti-patrioti impegnati in prima persona nei moti risorgimentali, si allarga sulle retrovie, sulla vita dei comuni soldati e sui loro piccoli/grandi gesti di eroismo e coraggio. La Grande Guerra la azzera del tutto: gli artisti si ritrovano tout court al fronte, dentro le trincee, senza sconti e senza coperture.

La maggioranza si trova sul campo di battaglia senza averlo scelto, alcuni invece (pochi) si arruolano addirittura volontariamente. E’ questo il caso di Anselmo Bucci (1877/1955), autore di questa piccola incisione (En tranchée ouverte) che fa parte della serie di 50 puntesecche dei Croquis du front italien del 1917, serie interamente ispirata e realizzata nei suoi primi due anni in guerra, considerata una delle più fresche ed efficaci cronache per immagini pervenutaci dal fronte, benché non l’unica. A questo proposito è interessante navigare in questo sito, www.artegrandeguerra.it, dove sono stati riuniti con un paziente lavoro di raccolta disegni e schizzi di numerosi altri artisti, non solo italiani.

Facciamo un passo indietro: quando nel 1915 l’Italia decideva di entrare in guerra, Anselmo Bucci si trovava a Parigi, dove si era trasferito fin dal 1906, giovane artista impaziente di formarsi e aggiornarsi nella pittura. Lì aveva conosciuto e frequentato alcuni artisti d’avanguardia: Modigliani, Severini, Picasso, Utrillo; aveva appreso le tecniche incisorie da un maestro come Manuel Robbe ed era stato incoraggiato da Apollinaire e da un virtuoso dell’incisione come Louis Legrand (qui), riuscendo anche a pubblicare una serie di puntesecche su Parigi (Paris qui bouge) di buon successo. Era all’inizio della sua carriera.

Si trovava sempre a Parigi quando nel 1909 Marinetti pubblicava il Manifesto del Movimento Futurista: pur guardando con interesse e curiosità ai provocatori proclami del movimento, si mantenne sempre distante dagli estremismi di linguaggio e di contenuto; le sue ricerche pittoriche si mossero sempre nel solco della tradizione figurativa. Al Futurismo semmai si avvicinò per una sorta di fascinazione, di trasporto emotivo:  Caro Boccioni (scriveva in una lettera del 1913), tu ricordi la violenza delle nostre discussioni e sai che io non sono futurista; ma io ti dichiaro che quando entro in una sala dove voi parlate e vedo quale pubblico vi abbaja contro, sono e sarò sempre, sempre, con vojaltri. Amen…

Diversamente fecero breccia le posizioni interventiste: nel 1915 Bucci decise infatti di arruolarsi nel Battaglione Lombardo dei Volontari Ciclisti e Automobilisti, ritrovandosi convintamente coinvolto in questa avventura (questa volta si) fianco a fianco con Marinetti, Boccioni, Sant’Elia, Erba, Funi, Sironi e Russolo. Il gotha del Movimento Futurista al completo.

Le vicende di questo anomalo Battaglione meritano due parole in più: unico corpo formato da milizie volontarie, composto da circa 500 uomini, era nato come arma specializzata per la ricognizione e difesa territoriale in zone non montane. Diverso però fu il suo utilizzo e breve anche la sua esistenza. E’ commovente vedere le foto della partenza trionfale dei Volontari Lombardi da Milano il 24 maggio 1915: un manipolo di giovani entusiasti, felici di immolarsi per la causa, che equipaggiati alla bell’e meglio e inforcando i propri mezzi (bici rigorosamente di proprietà personale portate da casa!), da piazzale Loreto si dirigevano su una strada sterrata e polverosa verso l’ex Polveriera Ronchi a Peschiera del Garda, incoraggiati dal saluto festante della folla e forse dalla propria incosciente ingenuità.

Nota di colore: pare che l’unico artista fra i Futuristi ad essere critico nei confronti del Battaglione Volontari sia stato Carrà, che in una lettera a Soffici scriveva: Questo corpo, m’ingannerò, ma a me pare una BURLA!(…). A me pare che chi vuole combattere sul serio, cioè fare a fucilate con gli austriaci, e ne ha le possibilità fisiche, dovrebbe arruolarsi e domandare di essere inquadrato nell’esercito regolare. Marinetti era ovviamente di tutt’altro avviso: si racconta che impossibilitato a partire con il suo gruppo per un’ernia improvvisa, pur di arruolarsi decideva di farsi operare in tutta fretta, raggiungendo gli amici a Peschiera dopo una cortissima degenza.

A Peschiera, l’entusiasmo degli arditi artisti-combattenti si scontrò presto con le corvè dell’addestramento e con la noia dell’attesa, che durerà qualche mese. Marinetti annoterà: Il pittore Bucci disegnava indefessamente, di giorno e di notte, con l’accanimento di chi vuol riempire ad ogni costo il tempo desolatamente vuoto. In effetti riempirà numerosi album di schizzi che serviranno da riferimento per la serie delle puntesecche dei Croquis: ci raccontano per lo più la quotidianità delle retrovie, i riposi, i momenti di vita al campo; solo poche riguarderanno il periodo successivo sul fronte in montagna. Sono immagini pacate, molto lontane sia dalle idee avventuristiche ed enfatiche propagandate dai Futuristi, sia dalla ricerca di spettacolarizzazione di maniera delle gesta eroiche. Sono anche considerate l’antitesi delle 50 puntesecche di Otto Dix, del 1922/24 (Der Krieg), nelle quali l’artista tedesco, provato dall’esperienza devastante della guerra, si sofferma invece sulle violenze, sulla morte, sulle atrocità dei corpi feriti e mutilati.

Finalmente a settembre i volontari del Battaglione vennero spostati a Malcesine e da lì, anche se su un terreno di guerra non in linea con la loro preparazione di forze ciclistiche, vennero impiegati come fanteria di montagna sul fronte del Monte Altissimo, che allora non era il confine tra il Veneto e il Trentino, come oggi, ma il confine tra Italia e Austria. Avevano desiderato l’adrenalina dello scontro, il faccia a faccia con il nemico. Iniziò anche per loro il freddo della vita in trincea e la pioggia degli shrapnel austriaci. E’ interessante confrontare lo stile di una lettera di Marinetti e quello di una di Bucci, entrambe scritte nel mese di settembre/ottobre dal fronte in montagna: il primo non rinunciava neanche al fronte, descrivendo la situazione, alle sue parole in libertà; dopo essersi complimentato con l’amico Cangiullo per la geniale invenzione della Lettera futurista Tipo-Cangiullo (proprio chiamata così, una specie di lettera/cartolina che circolava come format, utilizzata dai Futuristi per le comunicazioni dal fronte), aggiungeva: Voglio riformare lo stile epistolare ora assolutamente passatista pedante lungo monotono carico ridicolo! Laconismo + segni aritmetici + varietà calligrafica espressiva = lettere futuriste. Nostra vita = energia + volontà + 1.000.000 pulci + (tenda alata poca paglia vento ladro = dormire scoperti sotto stelle – ricordi erotici + castità rotolarsi poi fermarsi su perno) – Austriaci + volontà di battersi = eroismo oscuro = morte lenta

Molto più tradizionale lo stile della comunicazione di Bucci, in una lettera ad un’amica: Ci siamo; partiremo stanotte: domani siamo in trincea a duemila metri e spingiamo un tentacolo fino alla trincea nemica; poi attaccheremo, se in forza; attaccheremo alla lama, amica mia. Se le cose andranno male per me, voi riceverete questo foglio. Vorrà dire che sono morto o gravemente ferito, o disperso. Anche da questi piccoli segni vediamo la presa di distanza di Bucci dal Movimento Futurista, pur condividendo con loro le notti al gelo, il rancio freddo, le guardie, gli assalti, la paura.

In effetti il gruppetto composto da Bucci, Marinetti, Boccioni, Sant’Elia, fra il 22 e il 24 ottobre venne mandato in avanscoperta nella zona di Redecol e riuscì ad occupare una trincea nemica in alta quota; più in generale il Battaglione Lombardo Volontari prese parte alla Battaglia di Dosso Casina, una delle più strategiche che si svolsero sul fronte dell’Altissimo. Pochi giorni dopo, però, gli Alti Vertici Militari valutarono l’inadeguatezza del Battaglione Volontari per le caratteristiche di quel fronte e ne decisero il congedo il 29 ottobre, con grande delusione di tutti i volenterosi partecipanti. Bucci a posteriori scriverà di quel periodo: Questo battaglione romantico fu bello come la parola Gioventù. Come la gioventù amata dagli Dei, ebbe breve vita. Noi tutti, continuata e vinta la guerra in altre armi, e prolungata e consumata la vita in altre battaglie, pensiamo al Battaglione come ad un primo amore (…).Noi dell’VIII Plotone dicevamo un po’ per ridere un po’ sul serio, che “bastava uno shrapnel ben azzeccato per privare l’Italia d’arte durante un mezzo secolo”. Scherzavamo. Ma è matematicamente certo – Boccioni e Sant’Elia vivi – che la pittura italiana del Novecento sarebbe stata totalmente diversa.

In linea: Battaini, Marinetti, Boccioni, Bucci
Marinetti, Sant’Elia, Sironi e Boccioni alla mitraglia

In tutto il Battaglione dei Futuristi lasciò sul terreno 12 morti e 14 feriti: Sant’Elia fu freddato da tre colpi di mitragliatrice in fronte, Boccioni in modo meno glorioso morì a seguito di una caduta da cavallo, Carlo Erba fu ucciso sul monte Ortigara. Di questa valorosa partecipazione resta traccia nei luoghi del Dosso Casina, vicino ad una chiesetta: si trovano tutt’ora lì alcune lapidi che commemorano i morti, mentre al Cimitero Monumentale di Milano è stata apposta una lapide a memoria di tutti i caduti del Battaglione  Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti, con dedica scritta proprio da Anselmo Bucci. I pittori Futuristi, rientrati a Milano già il 30 novembre, dichiararono con fermezza la loro intenzione di continuare la guerra nell’esercito regolare. Qualcuno passò nel corpo dei Bersaglieri, qualcuno in Marina, Marinetti nel Reggimento Bombardieri; Anselmo Bucci continuò invece la guerra in Fanteria e fu spostato su molti fronti. 

Le serie di incisioni e litografie da lui dedicate alla guerra e alla vita nell’esercito sono numerose: oltre ai Croquis del 1917, nel 1918 uscirono 50 litografie sulla Marina (Marina a terra), e la cartella Finis Austriae. Poi nel 1940 pubblicò un libro dedicato alla Marina Italiana e infine, nel 1941 uscì una serie di altre 24 puntesecche sulla guerra. Non dobbiamo pensare però che sia stato l’unico tema forte della sua carriera artistica, né che Bucci limitò la sua ricerca artistica alle tecniche incisorie, nelle quali comunque aveva dimostrato di eccellere. Anzi, con la maturità cercò di affrancarsi dall’incisione dedicandosi principalmente alla pittura: nel 1922 si distinse come uno dei fondatori del Gruppo Novecento (a lui si deve addirittura la scelta del nome). Espose con i maggiori esponenti del gruppo (Dudreville, Sironi, Funi, Oppi, Marussig, Malerba), anche se poi dissapori con Margherita Sarfatti lo allontanarono dal gruppo. Scrisse memorie (Il pittore volante, 1930; Il libro della Bigia, racconti, 1942; l’autobiografia Pane e Luna, pubblicata postuma nel 1977), collaborò con riviste e quotidiani, si occupò anche di illustrazione di libri e di arredamento (la decorazione dei saloni di tre piroscafi della Compagnia Navigazione Libera Triestina). Ma il suo spirito libero e una certa avversione a farsi definire in una determinata corrente artistica lo hanno posto ai margini della pittura figurativa italiana, forse immeritatamente.

I Croquis du front italien sono comunque un unicum, visto il contesto storico in cui furono realizzati. Le 50 puntesecche (che in realtà sono di più, se si considerano anche le testate e i finali di capitolo) sono divise in 4 album; furono edite a 100 esemplari su carta Holland e 25 su carta Japon da D’Alignan a Parigi nel 1917 e sono tutte numerate e firmate. Alcune sono titolate a matita in italiano, alcune in francese. Per lo più smembrate dalle cartelle originali, si trovano sul mercato a prezzi molto accessibili. Pur avendo dichiarato in seguito di aver inciso per furore, per piacere, per necessità, tutte le puntesecche della serie derivano da disegni, nessuna è stata realizzata di getto, anche se, in effetti, la tecnica scelta (la puntasecca), è certamente fra le tecniche incisorie quella più immediata, perfetta per impressioni veloci e fresche: l’impulso passa subito sul metallo e vi rimane; aggiungo inoltre che non necessitando di acidi o di strumentazione particolare, ha l’indubbio vantaggio dell’economicità, non disprezzabile da un artista agli esordi.

La sua carriera di artista, pur essendo stata ricca di riconoscimenti e varia, non ha mai raggiunto le sfere più alte della gloria e del successo. Al grande insuccesso tutti resistono. Sovrumano è resistere al piccolo successo, scriveva Bucci in uno dei suoi famosi aforismi, forse riferendosi proprio alla mancata notorietà. A parziale risarcimento, postumo come spesso succede, sono state numerose le mostre, soprattutto recenti, che hanno fatto conoscere la sua pittura e la sua attività grafica, ricollocandolo con tutti gli onori nel panorama artistico italiano. 

Sulla figura di Anselmo Bucci si possono consultare parecchie monografie. Sulla storia del Battaglione Volontari è imprescindibile il saggio a cura di Luigi Sansone – Futuristi a Dosso Casina, Mazzotta, 2008

Anselmo Bucci – En tranchée ouverte – 1915-1916 – puntasecca sa carta vergellata – mm 124×84 – esemplare 14/100 – da Croquis du front italien, editore D’Alignan, Paris, 1917

Un pensiero su “ANSELMO BUCCI: puntesecche dal fronte

  1. Interessante articolo su Bucci e gli interventisti in bici. Ho scoperto Bucci in occasione della bella mostra che gli fu dedicata alcuni anni fa presso la Villa Reale di Monza. Da allora, apprezzandone le doti, ho cominciato a collezionarlo. Di Lui ho due grandi e splendide incisioni del periodo Parigino, un “disegno di guerra” e un magnifico olio rappresentante un “commilitone”, ritratto nelle sua verde divisa di ordinanza. Mi sono sempre chiesto chi rappresenti. E se ce l’ha fatta ad uscire dal quadro e salvare la pelle. L’interventismo fu l’ultimo atto del nostro Risorgimento. O almeno come tale lo vissero coloro che lo abbracciarono con ingenuo e giovanile ardore. Ebbe però dolorose conseguenze. La pessima accoglienza riservata ai reduci da chi la guerra non l’aveva voluta, le sparagnine e certamente punitive decisioni di Versailles, il conseguente mito negativo della Guerra Mutilata finirono col far crescere quel malcontento che dette vita ad una guerra civile strisciante che di lì a poco sarebbe culminata nel Fascismo. Arte e Storia vanno spesso a braccetto. Le incisioni e gli schizzi del nostro Bucci ne sono un esempio lampante.

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