HEINRICH VOGELER: un principe delle fiabe dall’animo rivoluzionario

L’acquisto di questa piccola e delicata acquaforte mi ha dato l’occasione di conoscere Heinrich Vogeler (1872/1942), un artista tedesco interessante sia per la sua produzione incisoria che per le vicende biografiche. Anzi, di particolare interesse direi che è proprio l’aderenza perfetta tra le sue scelte artistiche e lo spirito del suo tempo. Se è vero che tutti gli artisti vivono ed esprimono la loro epoca, non tutti però vi aderiscono linearmente: alcuni nel percorso si proiettano in avanti, altri si fermano e cedono il passo, altri ancora ad un certo punto si ritirano in un universo personale sganciato dal presente. Vogeler no, le sue vicende artistiche e personali ci raccontano in diretta il passaggio dalle atmosfere jugendstil di fine Ottocento alla crisi di valori seguente alla Prima Guerra Mondiale e infine i fermenti sociali, politici e gli slanci idealistici degli anni Venti.

Cominciamo dall’inizio. La formazione artistica di Vogeler si svolge all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, ma il centro del suo mondo negli anni successivi al 1894 diventerà Worpswede, uno sperduto villaggio vicino Brema, in una remota e paludosa landa denominata Teufelsmoor (il pantano del Diavolo), abitata da poveri agricoltori la cui unica fonte di reddito era estrarre la torba. Sceglie di trasferirsi lì per il desiderio di unirsi ad alcuni amici artisti conosciuti in Accademia (Fritz Mackensen, Hans am Ende e Otto Modersohn) che qualche anno prima avevano elevato l’anonimo piccolo villaggio a paradiso bucolico dove sperimentare un nuovo modo di vivere e di dipingere a stretto contatto con la natura, ripercorrendo il modello francese, di cinquant’anni precedente, della Scuola di Barbizon, o quello più recente di Pont-Aven. Erano attratti dal paesaggio aspro, dominato dal vento e dalla luce, e dal cielo illimitato. Rifiutavano la mentalità borghese e cittadina, cercavano la vicinanza ad una cultura semplice e autentica come quella contadina, praticavano la pittura en plein air e uno stile di vita alternativo in cui cercavano di superare le rigide convenzioni sociali dell’epoca. 

Il fenomeno non era isolato: Andreina Milan, nel suo saggio Heinrich Vogeler e la colonia artistica di Worpswede, ci informa che all’inizio del Novecento nell’Europa centro-settentrionale si contavano più di ottanta comunità di artisti  rurali. Queste comunità artistiche, soprattutto quelle di area tedesca, oltre ad essere un luogo di condivisione di nuove ricerche estetiche ed espressive, erano comunità sensibili alle nuove istanze portate avanti dal coevo movimento culturale della Lebensreform (la riforma della vita), un movimento ampio e variegato nel quale gravitavano intellettuali e artisti, primi fra tutti Rudolf Steiner e Hermann Hesse. La bandiera di questo movimento era la necessità di uno stile di vita più autentico, di tipo pre-moderno, immerso nella natura e indifferente alle convenzioni sociali, nel quale gli impulsi creativi andassero di pari passo con la ricerca di una vita più sana dal punto di vista fisico e morale. 

Sull’onda della Lebensreform, all’inizio del Novecento, nasceva per esempio l’incredibile ed eversiva colonia svizzera di Monte Verità ad Ascona, una delle comunità più radicali e pionieristiche dell’epoca: creata da un gruppo eterogeneo di utopisti, vegetariani, naturisti, teosofi, anarchici, si rivolgeva a tutti quelli che volevano cambiare stile di vita, con un’attenzione terapeutica rivolta al benessere del corpo e dello spirito. Per l’epoca, una comunità di svitati che praticava la vita all’aria aperta, il salutismo, il nudismo, il vegetarianismo, l’amore libero, la medicina naturale, il tutto integrato da un tocco di spiritismo ed esoterismo. Oggi è considerata invece l’anticipatrice della cultura hippy, oltre che la matrice di tanti moderni approcci salutistici ed olistici al corpo e alla mente.

La digressione sulla colonia di Monte Verità non è peregrina: la comunità artistica di Worpswede – antecedente di qualche anno quella svizzera e certamente meno radicale nell’approccio – cercava come l’altra, a proprio modo, uno stile di vita alternativo, più etico e morale; i primi artisti di Worpswede, insomma, si vedevano come ribelli alla ricerca di una forma di espressione originale, autentica e specificamente tedesca, alimentata dal contatto con la natura. Tra l’altro ci furono artisti che le frequentarono con regolarità entrambe, come Hugo Hoppener, in arte Fidus, sul quale consiglio vivamente una digressione qui. 

Il centro fisico e pulsante della colonia artistica di Worpswede diventò in breve tempo la casa che Vogeler acquistò nel 1895, un semplice edificio rurale dominato da un ripido tetto di paglia, ribattezzato Barkenhoff (Cottage delle betulle), che venne immediatamente nobilitato da una facciata a timpano e si ingrandì con un corpo trasversale, una bella terrazza e un giardino curato; la residenza così rinnovata, sul cui ingresso campeggiava intagliato in legno un verso composto dal poeta Rainer Maria Rilke (amico di Vogeler che vi fu ospite per alcuni mesi nel 1900) e che inneggiava al trionfo della luce, divenne al tempo stesso una sorta di casa/manifesto, il baricentro personale dell’artista, un rifugio protetto di arte e bellezza contro il brutto e il denaro, ma anche il teatro di rappresentazione estetica di una comunità di iniziati e il punto di riferimento per artisti e intellettuali internazionali. La mia capanna è il mio tutto, scriveva nel 1897 Vogeler in una lettera ad un suo amico scrittore. E ancora nell’estate del 1900 dichiarava: “La mia casa ha così tanto fascino per me che potrei passare tutta la mia vita a dipingerla”.

La casa, i suoi abitanti e gli ospiti furono in effetti il soggetto di uno dei suoi dipinti più famosi, Sera d’estate a Barkenhoff del 1905, nonostante i temi preferiti di Vogeler si ispirassero per lo più a fiabe e leggende; anche quando in alcuni dipinti vi compare la giovane moglie Martha Schroder, la sua presenza fisica sembra il tentativo di trasportare la realtà in un personale mondo di fantasia, immaginazione e bellezza, piuttosto che il desiderio di documentare la propria realtà quotidiana. 

A Worpswede Vogeler ebbe modo di sviluppare con successo una carriera poliedrica come poeta, pittore e architetto, oltre che abilissimo artigiano e progettista di arredi interni e oggetti d’uso domestico, che riproponevano le raffinate linee del gusto Jugendstil. L’unanime apprezzamento nei confronti della ristrutturazione del Barkenhoff gli portò altre committenze a Worpswede: sono suoi i progetti per due edifici residenziali, un ristorante, due case per lavoratori e per la stazione ferroviaria. Nel 1904/1905 ottenne l’incarico prestigioso della progettazione interna della Guldenkammer del Municipio di Brema, che diventerà un’icona dello Jugendstill tedesco e che lo convincerà qualche anno dopo, nel 1908, a mettere in piedi con il fratello la  Worpsweder Werkstatte, un’impresa per la produzione in serie di mobili, bicchieri e posate (oggetti che, per chi amasse il genere, si possono ancora trovare in vendita, anche in rete); questo progetto voleva mettere in pratica gli obiettivi dell’associazione Deutsche Werbund, nata a Monaco nel 1907 e seguita con particolare interesse da Vogeler: l’associazione era la risposta tedesca al movimento Arts and Crafts, ma senza la sua forte componente anti-industriale; auspicava al contrario la saldatura fra arti applicate e industria, dimostrandosi aperta all’idea della produzione seriale. Di fatto il diretto precedente alle idee della scuola Bauhaus.

Negli anni a cavallo dei due secoli Vogeler diventò anche uno dei più richiesti illustratori e pubblicitari  dell’epoca: i suoi lavori risentono della stessa atmosfera Jugendstil e preraffaellita dei suoi dipinti, ma anche dell’influsso di un grandissimo illustratore inglese a lui contemporaneo, morto giovanissimo, del quale per un certo periodo venne considerato l’erede artistico, ovvero Aubrey Beardsley. 

Da questo geniale illustratore il nostro Vogeler mediò anche una certa propensione al dandismo, che nel suo caso si manifestava – così ci raccontano i suoi contemporanei – nell’accurata scelta dello stile biedermeier per i propri vestiti: un modo per offrirsi agli occhi del pubblico con l’immagine di un principe delle fiabe, come dirà lui stesso nelle proprie memorie, in linea con le sue incisioni e i suoi disegni. 

E’ intorno al 1910 però che in questo mondo fiabesco affiorano le prime crepe: proprio l’anno in cui a Worpswede arrivava il collegamento ferroviario e il paese, da rifugio dal mondo moderno, diventava meta turistica per la classe media urbana (che vi si recava, tra l’altro, proprio ad acquistare gli oggetti di design prodotti dalla società di Vogeler, la cui notorietà intanto aveva travalicato l’ambito locale), le rivalità ormai ossificate fra gli artisti della colonia, alcune insanabili diversità di vedute e – per Vogeler – anche una crisi personale (la rottura del proprio matrimonio nel 1909), spinsero l’artista a guardare oltre i confini del suo amato rifugio bucolico. Un soggiorno in Inghilterra, nel quale vide di persona lo squallore dei quartieri operai di Manchester e Glasgow, la lettura di alcune opere di Gor’kij e poi la conoscenza dell’ideologia bolscevica quando nel 1914, come volontario, si arruolò e finì sul fronte orientale, in Romania e Russia, tutto questo – immaginiamo – gli fece fare un brutale bagno di realtà, lo spinse a riflettere sulla necessità di porre fine al proprio romantico arroccamento intellettuale e lo avvicinò alle teorie anarco-marxiste.

Sicuramente il mondo fiabesco in cui si era rifugiato per tanti anni non reggeva l’urto dei tempi; la fuga dalla società contemporanea, come gesto critico e oppositivo, era diventato drammaticamente anacronistico; l’arte intanto esplorava nuove strade: proprio negli stessi anni – 1905 – nasceva a Dresda il gruppo Die Brucke, che manifestava ugualmente la propria opposizione alla società borghese, ma questa volta con un nuovo linguaggio pittorico, tagliente e aggressivo. La stella di Vogeler, insieme a quella dello Jugendstil in generale, era in rapido declino: l’artista non poteva più essere considerato all’avanguardia dell’arte del suo tempo. E se ne rendeva perfettamente conto.

Non sappiamo perché Vogeler si arruolò volontario in guerra, forse decise che era un modo per uscire dalla crisi artistica e personale che lo accompagnava da qualche anno. Come artista non fu l’unico: molti altri suoi colleghi del movimento espressionista (Macke, Marc, Kirchner, Kokoschka, Grosz) fecero la stessa scelta, probabilmente non per sentimento patriottico, ma nella speranza che il conflitto avrebbe finalmente posto fine alla società che avevano tanto contestato. Per tutti loro sarà un’esperienza di sconvolgente disincanto. Lo sarà anche per Vogeler, che nel 1918, traumatizzato dagli orrori della guerra, scrisse sotto forma di fiaba una lettera aperta, stampata e distribuita illegalmente al fronte, nella quale chiedeva che il Kaiser diventasse un principe della pace e si mettesse al servizio della verità e dell’umanità invece che della violenza. Il risultato di questo audace (o folle, direi) atto di insubordinazione pacifista, fu che Vogeler  venne congedato dall’esercito e internato come “neuropatico” in un manicomio, una mossa che permise alle autorità di evitare la pubblicità e il potenziale imbarazzo di una corte marziale per un personaggio comunque piuttosto noto.

Finita la guerra e uscito dal manicomio, la conversione da romantico principe delle fiabe a rivoluzionario era compiuta: nel 1918 Vogeler si unisce al KPD, il partito Comunista tedesco e, durante la rivoluzione di novembre entra nel Consiglio di Fabbrica della Repubblica Sovietica di Brema. Da qui in poi la realizzazione dell’utopia riformista sociale e l’impegno pacifista assumeranno un crescente rilievo nella vita di Vogeler, che si mise in gioco in prima persona e in modo totalizzante per costruire una nuova società, fondata sul concetto di aiuto reciproco e sui nuovi valori di condivisione dei beni per la collettività. Decise quindi di trasformare l’amato barkenhoff prima in rifugio per i reduci della guerra, poi in una scuola progressista per i figli di socialisti uccisi o perseguitati, infine la cedette nel 1923 ad una società di assistenza comunista che vi aprì un asilo infantile. La scuola, che ebbe una vita piuttosto breve, funzionava come una piccola comune autosufficiente: seguiva il concetto socialista di scuola di lavoro, dove i bambini imparavano a partecipare alle attività agricole e artigianali della comunità in modo attivo e progressivo e si proponeva come cellula edificatrice della nuova società umana senza classi (così si leggeva nella domanda per un finanziamento statale e per il riconoscimento della stessa come scuola sperimentale – riconoscimento per altro mai concesso dal Ministero della Pubblica Istruzione). 

La trasformazione interiore di Vogeler avvenuta dal 1910 emerge anche osservando la sua produzione pittorica, che acquisisce un linguaggio via via più espressionista, come dimostra il confronto tra il suo autoritratto del 1902 e quelli successivi del 1909 e del 1914, o quello della sua nuova compagna Marie Griesbach del 1918.

Nel 1923 la sua vita prenderà una strada ancora più radicale: deciderà di fare il suo primo viaggio in Russia e poi vi si sposterà definitivamente nel 1931 con la seconda moglie, Sonia Marchlewska (figlia di Julian, militante comunista, co-fondatore con Rosa Luxemburg del partito politico marxista polacco). Gli anni intorno al 1920  sono caratterizzati dalla pubblicazione di una trentina fra articoli e opuscoli, i cui titoli inequivocabilmente perseguono obiettivi di divulgazione del pensiero riformista e rivoluzionario, ma anche di una propria personale visione utopistica: Sull’Espressionismo dell’amore – La nuova vita. Un manifesto comunista – Scuola di insediamento e lavoro – La libertà dell’amore nella società comunista – Divenire cosmico e realizzazione umana – Pace.

La pittura di Vogeler subì parallelamente un’ulteriore radicale trasformazione: il linguaggio espressionista cedette il posto ad una ricerca estetica che prendeva spunto dal Costruttivismo sovietico, dai murales di Diego Rivera (che lo era andato a trovare al Barkenhoff negli anni ’20) e da artisti contemporanei come George Grosz o Hanna Höch. Ne scaturirono i cosiddetti Komplexbilder, oggi però considerati un esperimento non troppo riuscito.

Quali strane strade ha percorso quest’uomo, quali incontri, esperienze, sconvolgimenti, sono stati necessari per liberarlo dalle rosee catene di fiori di un mondo romantico e fiabesco e trasformarlo in un combattente intransigente nelle file dei lavoratori consapevoli della classe, scrive il poeta Erich Weinert (suo amico e compagno di esilio in Unione Sovietica) nell’introduzione alle memorie di Vogeler, pubblicate postume nel 1952.

La trasformazione dell’uomo e dell’artista in effetti non poteva essere più radicale. La conseguenza fu l’oblio dell’artista in patria, in quanto oppositore del nazionalsocialismo e poi esule in Unione Sovietica. Come ci ricorda lo studioso Lionel Gossman nel suo saggio Odd man out: Heinrich Vogeler and fin de siècle Worpswede, egli  è stato  il caso Vogelercioè il caso di un artista dotato che, agli occhi di molti, probabilmente la maggioranza, ha lasciato appassire l’artista che era in lui per amore della politica, o che, agli occhi di altri, ha avuto il coraggio e l’immaginazione di rompere radicalmente con la sua pratica di successo di un’arte piacevole e decorativa per sperimentare forme che riteneva appropriate, dapprima, alla situazione catastrofica e rivoluzionaria creatasi in Germania dalla Prima Guerra Mondiale e, successivamente, alla nuova e, a suo parere, più giusta e umana società socialista che si stava costruendo in Unione Sovietica.

Vogeler morì in Unione Sovietica, ma sulle circostanze della sua morte gli studiosi non convergono; di certo si sa solo che nel 1941, quando i tedeschi si stavano avvicinando alla capitale sovietica, fu spostato in Kazakistan, a Karaganda, insieme ad altri cittadini di origine tedesca. Non si fa fatica a immaginare che le condizioni di vita laggiù fossero particolarmente dure: alcune fonti raccontano che per vivere si fosse ridotto a chiedere l’elemosina, perché né la sua pensione, né le sue medicine riuscivano ad arrivare in territori così periferici. Nel 1942 morì infine in una clinica collettiva mal attrezzata. Triste parabola di un romantico utopista.

L’oblio dell’artista in patria si è interrotto negli ultimi decenni: nel 1971 il Barkenhoff, destinato alla demolizione per una lottizzazione, viene salvato all’ultimo e diventa una Fondazione, grazie  all’intervento di un privato e ad un sostegno finanziario pubblico; nel 1974 esce il catalogo ragionato dell’opera grafica a cura di Hans Hermann Rief; nel 2020 esce un catalogo ragionato della sua opera a cura di Rena Noltenius; nel 2022 esce un catalogo degli ex libris e contemporaneamente un film documentario sulla sua vita, Heinrich Vogeler – Aus dem Leben eines Träumers.

Non è raro trovare in vendita le incisioni di Vogeler, che tra l’altro non hanno neanche prezzi eccessivi. La mia, dal titolo Spring Flowers, fa parte della raccolta di dieci acqueforti An den Frühling del 1899; è stampata su fondino japon verde applicato su un’elegante carta vergellata e filigranata e reca in basso le iniziali dell’artista incise in lastra e le indicazioni dello stampatore O.Felsing di Berlino, oltre che la firma autografa a matita. Dell’intera serie ne furono stampate 10 su tessuto di raso, numerate e firmate a mano; 15 su carta japon verde firmate a mano, 75 su carta japon verde ma non firmate e 100 su carta a mano. Vogeler incise sempre su lastre di rame e tirò personalmente le prime bozze e le prove di stampa con il suo torchio personale, numerandole e firmandole. Le versioni definitive invece venivano invece stampate nel primo periodo da Felsing e dopo il 1919 dalla Worpswede Kunsterprasse fondata dal pittore Martin Paul Miller. 

Qui di seguito le altre 9 acqueforti della serie.

5 pensieri su “HEINRICH VOGELER: un principe delle fiabe dall’animo rivoluzionario

  1. Grazie Fiamma, la tua recensione mi è piaciuta, scorrevole, chiara e lunga il giusto. Mi sono ritrovato negli ideali di questi uomini, specialmente per quanto riguarda il nostro rapporto con la natura ( e quindi con noi stessi), ideali che si coltivano nella nostra anima. La nascita dei miei figli mi ha fatto incontrare Rudolf Steiner la cui vita prese strade diverse da quelle del Vogeler. Ne parleremo. Ti abbraccio forte. Ciao Andrea.

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