GERD ARNTZ: xilografie per la rivoluzione

20240111_132741Le Avanguardie Artistiche del primo Novecento sono state tutte rivoluzionarie, ciascuna a proprio modo: hanno rivoluzionato il linguaggio artistico e le tecniche espressive, modificato il concetto di opera d’arte e molto spesso criticato lucidamente la società contemporanea; credo però che non sia mai esistito gruppo più estremista, idealista, radicale e rivoluzionario di quello nato a Colonia negli anni appena successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale: il gruppo degli Artisti Progressisti di Colonia.  A questo focoso gruppetto apparteneva Gerd Arntz (1900/1988), artista che non conoscevo fino alla mostra organizzata nel 2022 a Parigi al Centre Pompidou, dal titolo Allemagne/annèes 1920/nouvelle objectivitè/August Sander. All’attività di questo gruppo di artisti, contemporanei al movimento Dada berlinese, all’Espressionismo di seconda generazione di Grosz e di Dix e anche alla Nuova Oggettività – ma radicalmente diversi nel linguaggio – era dedicata un’interessante sezione della mostra.

I Progressisti di Colonia (al quale appartenevano, oltre ad Arntz, anche Franz Seiwert e Heinrich Hoerle)  puntavano alto: lo scopo principale del gruppo era lo sviluppo di un linguaggio visivo che fosse un’arma a fianco della classe operaia nella lotta politica e sociale, perché l’unico obiettivo dell’arte doveva essere quello di esprimere idee politiche complesse in termini visivi semplici, facilmente comprensibili dalla società di massa. L’arte secondo loro doveva dunque spiegare le cause del sistema capitalista e suggerire soluzioni rivoluzionarie, non doveva essere un prodotto per le gallerie, per i critici d’arte, per i collezionisti, ma per la gente comune e per la classe operaia oppressa dal capitalismo. L’impegno politico di questi artisti si esprimeva in primo luogo attraverso la partecipazione ai sindacati operai rivoluzionari AAUE, che auspicavano l’organizzazione della società in soviet, sull’esempio della prima rivoluzione bolscevica; poi attraverso la partecipazione, con immagini e testi, alle più radicali riviste d’opposizione, come Die Aktion e Die Proletarische Revolution, o a quella clandestina di matrice anarchica Der Ziegelbrenner , oltre che, dal 1929 al 1933, alla rivista di arte progressista A bis Z .

Xilografie di Gerd Arntz sulle copertine della rivista Die Proletarische revolution

La dura critica sociale e politica al governo della Repubblica di Weimar che facevano i Progressisti di Colonia si differenziava nettamente da quella, pur feroce e caustica, di altri artisti dell’epoca. Lo stesso Arntz chiariva nei suoi scritti: Grosz dipinge il capitalista come un criminale brutto e grasso. Io ho mostrato le cose diversamente. Può essere di bell’aspetto, un bravo padre di famiglia con belle figlie…ho cercato di mostrare la posizione del capitalista all’interno del sistema di produzione, per questo non è necessario che sia brutto come lo ha fatto Grosz. E mentre Grosz mostrava l’operaio come una creatura miserevole, Arntz respingeva decisamente questa visione: Anche noi mostriamo gli operai come miserevoli, perché sono il prodotto di circostanze miserevoli. Ma per noi l’operaio è anche un rivoluzionario che affronta la situazione. La nostra arte deve contribuire a fare a pezzi la vecchia società (…), tentare di rivelare i contrasti sociali e mostrare le opportunità sociali, non è una critica moralizzante. 

Interessante per capire la posizione estrema dei Progressisti di Colonia è anche la vicenda descritta da Martyn Everett nel suo saggio Art as a weapon: Franz Seiwert and the Cologne progressives (qui ): durante lo sciopero e gli scontri di piazza a Dresda che seguirono il colpo di stato di destra di Kapp nel 1920, un colpo sparato dalla strada dai lavoratori in rivolta colpì accidentalmente un dipinto di Rubens conservato nel museo lì vicino (Betsabea al bagno, ora a Berlino). Ignorando le vittime (35 morti e 151 feriti), Oskar Kokoschka distribuì un volantino in cui si chiedeva agli operai di combattere altrove, lontano dai luoghi di conservazione dell’arte, perché il salvataggio di opere d’arte così importanti è più grande di qualsiasi lotta politica. La risposta di Seiwert – figura chiave nonché maggior teorico del gruppo dei Progressisti – fu immediata e violenta: L’arte di Rubens è morta da tempo. Da qualche centinaia d’anni abbiamo enormi buchi in cornici gigantesche. Tale arte ci pesa e ci impedisce di agire. A pochi anni di distanza dai proclami di Marinetti, che inneggiava alla distruzione dei musei, ritroviamo qui la stessa carica incendiaria nei confronti dell’arte del passato, sorretta però questa volta da una forte ideologia politica.

Sulla stessa linea le parole di Carl Oskar Jatho, pubblicate nel 1932 nella rivista del Gruppo dei Progressisti, in un testo intitolato “Sulla problematica del ritratto”: all’esaltazione dell’io personale bisogna sostituire sempre più decisamente un’arte che è socialmente utile (…) Il ritratto sociale della società, con i suoi capricci egoistici, deve cedere il passo a un’arte sociale, in cui l’individuo non serve più che a esprimere un tutto collettivo.

In effetti nella Germania negli anni ’20 si assisteva alla progressiva sostituzione dell’esaltazione dei caratteri dell’individuo – che aveva caratterizzato l’estetica espressionista – con le idee della standardizzazione e dell’uomo-macchina (grazie soprattutto al movimento Dada berlinese), e l’attenzione di alcuni artisti d’avanguardia (Grosz e Dix in particolare) si spostava generalmente dalle particolarità fisiche all’appartenenza sociale degli individui. I Progressisti di Colonia radicalizzano ulteriormente questa posizione, rimpiazzando le singolarità dell’individuo con il ricorso a modelli senza viso, anonimi, che denunciavano al contempo una precisa appartenenza sociale. Gerd Arntz, più degli altri artisti del suo gruppo, riuscì a dare forma a questo sogno utopistico di arte “sociologica”, sviluppando dal 1925 in poi un linguaggio grafico chiaro e incisivo: le sue xilografie, con i forti contrasti bianco/nero, perfette – tra le altre cose – per essere facilmente stampate sui periodici rivoluzionari, enfatizzavano particolarmente bene l’antagonismo di classe, lo illustravano con una chiarezza sorprendente e disarmante.

Così in Mitropa del 1925, una delle sue prime xilografie, la struttura stessa della composizione raccontava le disuguaglianze sociali: nella metà superiore due vagoni ferroviari, a sinistra in nero la più affollata ed economica Terza classe, a destra in bianco la più costosa Prima classe, con tanto di vagone ristorante; sotto, al contrario, a sinistra una lussuosa via dello shopping e del divertimento notturno, con macchinone in primo piano e prostitute d’alto bordo in attesa di ricchi clienti; a destra un’affollata via di quartiere popolare.

La stessa chiarezza compositiva, questa volta in formato verticale, la ritroviamo nella sua serie più famosa: le xilografie pubblicate nel 1927, dal titolo Dodici case contemporanee, (Zwölf Haüser der Zeit); dodici luoghi della società contemporanea: una casa privata, una fabbrica, un grande magazzino, una prigione, una caserma, un ospedale, un albergo, uno stadio, un teatro, un bar, un bordello e una banca. In ognuna lo spazio è diviso su tre livelli e le figure che le popolano, ignare – sembra – di quello che sta succedendo sopra o sotto di loro e dei rigidi meccanismi sociali che tacitamente governano le loro vite, sono prive di qualsiasi caratteristica individuale; la forma umana, semplificata e scarnita fino all’essenza, diventa simbolo delle tipologie sociali.

Questa lucida e disincantata lettura della società risulta ancor più sorprendente quando scopriamo che Gerd Arntz non proveniva da una famiglia proletaria, ma era il figlio unico di un benestante proprietario di una fabbrica di ferramenta della Vestfalia, che probabilmente tutto immaginava e sperava tranne che il proprio figlio, quasi naturalmente predestinato a proseguire gli affari di famiglia, si schierasse in modo così netto e radicale dalla parte dei suoi operai. 

Il linguaggio grafico di Arntz, così chiaro e semplice, trovò subito, quasi per predestinazione, un grande estimatore: lo studioso sociale e filosofo marxista viennese Otto Neurath, poliedrica figura di intellettuale al servizio del governo socialdemocratico di Vienna, formatosi nel 1919 – periodo in seguito ricordato con il nome di Vienna Rossa – e caratterizzato anche da una grande fiducia nell’educazione attraverso una radicale ricostruzione della vita culturale della città.  Neurath era stato incaricato nel 1925 di fondare e dirigere il Museo della Società e dell’Economia di Vienna (Gesellschafts und Wirtschaftsmuseum – GWM), che aveva l’ambizioso obiettivo di divulgare in modo semplice, soprattutto alla classe operaia o ai cittadini meno istruiti, le informazioni di base per la comprensione della società, fornendo dati sulla produzione, l’emigrazione, la mortalità, la sanità, lo stato dell’industria, la disoccupazione. Neurath aveva subito intuito che per dare una maggiore leggibilità  ai dati numerici e alle statistiche era necessario trasformarli in un linguaggio fatto di simboli stilizzati di facile comprensione. E’ facile dunque intuire la folgorazione reciproca tra Arntz e Neurath che seguì al loro casuale incontro nel 1926, in occasione della mostra organizzata a Dusseldorf dal gruppo dei Progressisti: il primo aveva l’opportunità di applicare le sue convinzioni politiche riguardo al ruolo informativo e sociale dell’arte, anche perché le statistiche visive di Neurath erano un evidente e inequivocabile strumento di emancipazione operaia; il secondo cercava un bravo designer che potesse realizzare dei segni elementari, dei pittogrammi, in grado di riassumere a colpo d’occhio e in modo efficace qualsiasi argomento.

Senza comunque mai tralasciare il proprio lavoro artistico indipendente, Arntz si spostò quindi a lavorare a Vienna nel 1929, come responsabile del dipartimento grafico al GWM, dove insieme a Neurath, diede forma a quello che venne universalmente chiamato il metodo viennese per la statistica visiva, in seguito ribattezzato ISOTYPE (International System of Typographic Picture Education). Il primo interessante risultato di questo lavoro di squadra fu la pubblicazione nel 1930 della prima raccolta di 100 statistiche visive a fogli sciolti, l’atlante Gesellschaft un Wirtschaft che anche oggi, a distanza di quasi 100 anni, risulta di una modernità notevole, forse il primo esempio di quella che successivamente verrà chiamata infografica moderna.

I simboli isotipi non avevano, ben inteso, lo scopo di sostituire completamente il testo scritto, ma di riassumere e supportare il contenuto verbale delle statistiche. Come diceva lo stesso Neurath, è meglio ricordare immagini semplificate che dimenticare cifre esatte. Alla fine della sua attività Arntz ne disegno’ oltre 4000. Come modello per la statistica visiva, l’atlante del 1930 fu un successo, tanto che molti altri paesi dopo la guerra (Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti, Grecia) approfondirono queste tematiche e utilizzarono il sistema ISOTYPE.

Uno dei primi paesi a mostrare vivo interesse per il metodo viennese di statistiche visive fu l’Unione Sovietica. Questo in effetti non stupisce. Già nel 1931 il governo russo incaricò Neurath di fondare a Mosca un istituto simile a quello di Vienna, con il nome di IZOSTAT. I rapporti con i burocrati russi si mostrarono però immediatamente complicati. Arntz racconta che nella sua prima visita a Mosca nel 1931 raccontò ai colleghi russi di essere andato a vedere una mostra su Mayakovsky (suicidatosi l’anno prima), suscitando l’imbarazzo dei presenti: Mayakovsky era stato un grande poeta e intellettuale, ma la sua figura era discussa, criticata da molti esponenti del partito; tutti i presenti lasciarono cadere il discorso senza commentare. Era evidente in loro, continua a raccontare Arntz, la volontà di esprimere il meno possibile le proprie opinioni personali, che venivano tutt’al più sussurrate con cautela quando l’interprete ufficiale non era presente e solo in lingua francese o tedesca. L’epoca delle purghe staliniste non era ancora iniziata ma già si respirava nell’aria. A questo clima generale si aggiunsero presto le critiche al suo stile grafico, considerato troppo neutro e troppo occidentale, non in linea con il realismo socialista dettato da Stalin. I primi fogli di statistiche visive targate Russia, in effetti, presentano caratteristiche molto diverse, con la probabile rielaborazione di El Lissitzky. Viste le premesse, non stupisce che la collaborazione sia durata solo qualche anno.

Nel 1934, con la salita al potere di Hitler e la parallela presa del potere della destra a Vienna, il Museo della Società e dell’Economia dovette chiudere i battenti e Neurath e Arntz si rifugiarono in Olanda, all’Aja, dove continuarono la loro attività, pur senza il sostegno finanziario del governo olandese. Il 1934 è l’anno in cui Arntz pubblica due importanti xilografie di soggetto politico: RussiaIl Terzo Reich. Nel 1938 progettò l’ultima serie di xilografie dal titolo Lehrbilder (stampe per l’apprendimento), ancora incentrate sull’opposizione di classe e la protesta contro la guerra; ne realizzò solo 8, perché in seguito ammise di aver perso improvvisamente il coraggio, testuali sue parole. Non possiamo criticarlo, visto il periodo storico e quello che successe successivamente.

Quando nel 1940 la Germania invase l’Olanda, Neurath riuscì rocambolescamente a raggiungere Londra, Arntz restò all’Aja con la sua famiglia, protetto dall’incarico di tecnico disegnatore all’interno della Fondazione Olandese per la Statistica. Fu però costretto nel 1943 ad arruolarsi nella Wehrmacht: preso prigioniero a Parigi nel 1944, nel 1946 riuscì a ritornare in Olanda dove riprese il suo incarico fino alla pensione nel 1965, senza però tralasciare mai la sua attività di artista indipendente. Abbandonò sempre più il legno come supporto per le proprie incisioni a favore del linoleum, ma continuò ad affrontare tematiche scomode e di denuncia della guerra.

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Dodendans – La danza della morte – 1950

Le xilografie di Arntz, quelle degli anni compresi fra il 1925 e il 1940, si trovano abbastanza facilmente sul mercato, soprattutto in Germania, ma per la maggior parte si tratta di riedizioni a partire dal 1973, anno in cui fu ristampata dalla Galleria Werner Kunze di Berlino la serie Dodici case contemporanee pubblicata originariamente nel 1927; negli anni a seguire sono state ristampate dalla stessa galleria anche serie successive degli anni ’30. Le nuove edizioni portano entrambe le date, sono tutte firmate e numerate da Arntz stesso. Quelle originali stampate negli anni ’20 e ’30 sono decisamente più rare e hanno ovviamente una quotazione più alta. La mia è una ristampa del 1976 di una xilografia del 1931, dal titolo Feierabend (Dopo il lavoro).

In una sua intervista del 1973 Arntz osserverà: Ho sempre avuto l’amara sensazione che noi, i gruppi dei comunisti del periodo della crisi, avremmo avuto le nostre possibilità se i tempi fossero stati maturi; quelle possibilità sono svanite al giorno d’oggi e non ho idea di come potrebbero ripresentarsi in questo sistema. I veri  colli di bottiglia non riguardano più i rapporti tra proletariato e padroni, ma sono diventati globali. Ora si tratta di paesi ricchi e poveri.

Non sono completamente d’accordo. Le disuguaglianze e le ingiustizie all’interno delle società moderne occidentali sono ancora ben presenti e le xilografie di Arntz hanno ancora il compito di ricordarcelo. La società organizzata sul modello dei soviet non si è avverata (fortunatamente) ma il lato idealista e rivoluzionario di Arntz si è comunque esplicitato in qualcosa di rivoluzionario: il sistema ISOTYPE, che è un linguaggio universale, una specie di esperanto in grado di superare le barriere culturali. Come diceva Neurath, le parole dividono, le immagini uniscono.

Per chi volesse approfondire, esiste un catalogo ragionato dei lavori di Arntz pubblicato nel 1976 a cura di Flip Bool e Kees Broos; in rete c’è il testo di una conferenza tenuta da Flip Bool nel 2018 il giorno di chiusura della mostra presso la Galleria Na Shabolovke a Mosca (qui) dalla quale ho tratto molte delle informazioni qui riportate.

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Feierabend (Dopo il lavoro) 1931/1979 – n.14/100 – Ripubblicata da Werner Kunze, Berlino, 1976

4 pensieri su “GERD ARNTZ: xilografie per la rivoluzione

  1. Grazie Fiammetta ,con le tue doti illustrative ed intelligenti coinvolgi

    anche i meno interessati a questa arte poco nota, come me 

    completamente ignorante ( che ignora!) 🙂

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