Grottesche all’italiana in terra tedesca: DANIEL HOPFER

Daniel-HopferUna spezie di pittura licenziose e ridicole molto. Così Vasari definiva nel 1550 le grottesche. Una definizione che non lascia dubbi sulla sua insofferenza per questo tipo di decorazione, che però incontrava il favore di un pubblico sempre più ampio e aveva colonizzato stabilmente le pareti dei palazzi più alla moda d’Italia, attecchendo anche sulle argenterie, le ceramiche, gli arazzi, gli arredi. Un fatto inspiegabile, pensava Vasari, una moda invadente e senza riferimenti intellettuali forti. Non era il primo: parecchi secoli prima contro le grottesche era sceso in campo perfino Vitruvio nel suo De Architectura. I due intellettuali, in epoche diverse, erano dunque giunti alle stesse considerazioni riguardo alle grottesche, che vedevano come una pericolosa negazione del rigore e dell’ordine: esse infatti negavano de facto lo spazio e la profondità, ignoravano la gravità delle forme, mescolavano le specie, giustificavano ibridi e mostruosità.

Il ritorno in auge delle grottesche si doveva alla scoperta della Domus Aurea di Nerone avvenuta si dice intorno al 1480, ma in verità altri esempi erano ancora visibili nelle volte del Colosseo e a Villa Adriana a Tivoli. A quell’epoca i grandiosi ambienti della residenza imperiale erano totalmente interrati, ci si camminava sopra: armati di torcia e di coraggio, dalle aperture sulle volte ci si poteva calare all’interno con una fune. Una volta dentro, le decorazioni parietali (ora quasi del tutto scomparse) erano osservabili da molto vicino, poiché metri e metri di terra coprivano il pavimento delle stanze e sollevavano i visitatori quasi all’altezza del soffitto. Benvenuto Cellini scriveva: queste grottesche hanno acquistato nome dai moderni per essersi trovate in certe caverne della terra in Roma, le quali caverne anticamente erano camere, stufe, studii, sale e altri cotali cose. Ecco dunque l’origine del nome: da caverne, grotte, grottescheSappiamo che fin da subito la scoperta aveva attratto artisti, esploratori e folle di curiosi, che ci organizzavano perfino delle merende. Alcuni di questi visitatori – come ancora oggi qualche turista cialtrone ha l’impulso di fare – hanno lasciato la loro firma incisa sui muri. Vi troviamo, fra le altre, addirittura quella di Ghirlandaio, di Filippino Lippi, di Pinturicchio.

Gli artisti che si calavano nelle grotte dell’Esquilino riemergevano con taccuini colmi di appunti e disegni, che poi circolavano nelle botteghe del centro Italia. Ci volle pochissimo, solo qualche anno, per vedere apparire le prime grottesche all’interno di cicli pittorici: i primi furono Filippino Lippi nella Cappella Carafa (1486/1493 – chiesa della Minerva a Roma) e nella Cappella Strozzi (1487/1502 – Santa Maria Novella), Pinturicchio nella Cappella Bufalini all’Aracoeli (1482/1485) e Luca Signorelli nella Cappella di San Brizio a Orvieto (1499/1502), ma poi la moda di questa nuova stravagante decorazione continuò ad espandersi, per giungere all’apoteosi con la decorazione delle Logge Vaticane (1517/1519) ad opera di Raffaello, della sua bottega e di Giovanni da Udine. A metà del Cinquecento, con buona pace di Vasari, le grottesche erano osteggiate da ben pochi e assimilate dai più come patrimonio classico tradizionale, difese tra l’altro da artisti del calibro di Michelangelo.

La moda delle grottesche si era comunque innestata su sistemi decorativi mai dismessi della cultura medievale: l’ornato (la decorazione a racemi, volute e grappoli presente abbondantemente sui bordi dei fogli manoscritti) e i bestiari medievali che avevano nutrito le fantasie degli scalpellini romanici, artefici di mostri, ibridi e creature immaginarie scolpite nella pietra; le grottesche, effettivamente, sembrano oggi la versione organizzata, all’interno di schemi compositivi ordinati e simmetrici, delle bizzarre fantasie dei secoli precedenti. Dunque, forse anche grazie alla diffusione delle incisioni di alcuni artisti come Nicoletto da Modena, Giovanni Antonio da Brescia, Peregrino da Cesena, vengono assimilate velocemente dagli artigiani, che trovano così il modo di rinnovare il loro repertorio decorativo; travalicano le frontiere, arrivando in Francia (la Galleria di Francesco I a Fontainebleau), in Germania (la Residenza di Landshut di Luigi X di Baviera) e nel centro Europa, grazie anche ai tanti artisti fiamminghi e tedeschi che hanno lasciato traccia del loro passaggio romano con le loro firme apposte sulle volte interrate del palazzo imperiale. Fra questi, chissà, forse anche Daniel Hopfer (1471/1536), un artista di Augusta che si era specializzato nel disegno di decorazioni ornamentali per le armature.

19d4845fac11ad67efc2eaa5c2df7ede--landsknecht-medieval-armorAugusta, alla fine del Quattrocento, era infatti uno dei principali centri per la produzione di armi e armature in Europa e vantava numerose botteghe impegnate in questo artigianato di pregio. Per la verità non sappiamo esattamente se Hopfer, oltre a ideare e disegnare, si occupasse anche di incidere le armature; forse consegnava i suoi disegni agli armaioli che si occupavano poi di incidere con gli acidi il motivo decorativo sul metallo. D’altronde l’unico pezzo sopravvissuto di un’armatura firmata Hopfer, uno scudo, risale all’anno della sua morte ed è conservata nella Real Armeria di Madrid.

gruppo-di-tre-landsknechts-landsknechte-soldati-mercenari-incisione-su-rame-di-daniel-hopfer-c-1500-hhw3htCerto è che fu uno dei primi artisti, intorno all’anno 1500, ad applicare la tecnica di incisione all’acquaforte su metallo, praticata fino a quel momento solo sulle armature, per realizzare matrici per la stampa su carta. Fu in ogni caso il primo artista a specializzarsi veramente nella tecnica, sperimentando le morsure con acidi su lastre di ferro o di acciaio ancor prima di Albrecht Dürer, che cominciò le sue prime incisioni all’acquaforte solo nella seconda decade del Cinquecento. Recentemente lo studioso Cristof Metzger, autore di un aggiornato catalogo delle incisioni di Hopfer, ha scoperto a Bologna una sua incisione inedita, firmata con il nome per esteso e datata per motivi stilistici al 1493, che è forse la prima acquaforte conosciuta su carta.

Questa nuova tecnica di incisione del metallo con l’uso di acidi si rivelò una gallina dalle uova d’oro: la bottega di Hopfer ebbe grande successo, come rivelano i suoi registri fiscali. L’artista si trasferì in quartieri sempre più esclusivi, ricevette uno stemma dall’imperatore Carlo V e fu sepolto onorevolmente nella Cattedrale di Augusta. Le sue opere compaiono in distinti inventari del XVI secolo e le sue robuste lastre di ferro consentirono ristampe postume. Fu anche uno dei primi artisti incisori, come Dürer, ha contrassegnare i propri lavori con un monogramma e a stampare e commercializzare in proprio le sue opere.

20191008_114631 (2)Il catalogo completo, composto da oltre 130 stampe, dimostra la sorprendente gamma dei modi di Hopfer, inventore di complicati viticci di sapore gotico e di motivi lineari a fondo scuro (il cosiddetto stile Hopfer, ovvero uno sfondo simile alla filigrana che richiede almeno due passaggi in acido), ma anche interessato riproduttore delle più aggiornate tendenze italiane: i bulini di Andrea Mantegna e di Marcantonio Raimondi e tanti, tantissimi motivi a grottesca. Che li abbia visti personalmente o copiati da stampe italiane, nessuno lo può ancora affermare con certezza. Di sicuro la moderna preferenza per l’originalità inventiva ha relegato Hopfer al ruolo di semplice incisore copista, penalizzando la sua intera produzione, certamente non tutta un plagio; le sue grottesche all’italiana hanno inoltre il pregio di documentarci gli evidenti scambi culturali e commerciali fra la città di Augusta e l’Italia. D’altronde Hopfer non era l’unico artista a guardare con interesse oltralpe. Negli stessi anni, a cavallo fra il Quattrocento e il Cinquecento, anche altri grandi artisti – Lucas Cranach, Hans Burgkmair, Hans Holbein e Albrecht Dürer – con un occhio all’Italia, rinnovavano le arti figurative e portavano la Germania in prima linea nel Rinascimento europeo.

Il fascino delle grottesche di Hopfer, alcune veramente straboccanti di invenzioni e stravaganze, ha travalicato il secolo XVI: nel 1684 lo stampatore David Funck di Norimberga, considerandole ancora un investimento interessante dal punto di vista commerciale, acquisisce le sue lastre, vi appone in basso una numerazione progressiva e le pubblica (230 tavole fra quelle sue e quelle dei suoi due figli). Queste tirature sono oggi riconoscibili proprio per la presenza della numerazione.

Acquistata questa piccola incisione senza conoscere molto dell’artista e saputo di queste tirature postume, ho subito verificato la presenza o meno della numerazione. Ma ahimè, mi sono accorta che la mia acquaforte è stata rifilata: faceva parte di una coppia di grottesche incise su una lastra unica; dove si sarebbe potuto trovare il numero di Funck,  – il 32, in basso nel mezzo fra i due motivi decorativi – la carta è stata ritagliata con una leggera sagomatura. Difficile dire oggi se il numero era presente, ma è stato tagliato via, o se questa copia appartiene ad una tiratura precedente all’intervento di Funck. Nel catalogo Hollstein l’esemplare riprodotto è anch’esso rifilato, ma resta visibile in basso a destra il numero 3 di 32.

Hopfer_particolareLa carta su cui è stampata è molto sottile, senza filigrana e a vergelle molto ravvicinate, tipiche delle carta di qualità. Però non riesco proprio a datarla. Per riconoscere le carte e datarle occorre davvero molta esperienza.

Chi volesse reperire informazioni sulla produzione incisoria di Hopfer può consultare il già citato catalogo di F.W. Hollstein – German engravings, etchings and woodcuts (1400-1700). Un testo critico più recente, che contiene il catalogo ragionato delle sue incisioni, è stato curato da Cristof Metzger (Daniel Hopfer: Ein Augsburger Meister der Renaissance) e pubblicato del 2009 in occasione di una mostra a lui dedicata alla Staatliche Graphische Sammlung di Monaco, ma purtroppo è disponibile solo in lingua tedesca.

Daniel-Hopfer
Daniel Hopfer – Due ornamenti con grottesche su un unica lastra (parziale) – acquaforte su acciaio – dimensione lastra originale 275 x 228 – carta vergellata senza filigrana

 

 

 

5 pensieri su “Grottesche all’italiana in terra tedesca: DANIEL HOPFER

  1. Sono un incisore collezionista, come lei onnivoro di calcografia un amico mi ha segnalato il suo blog e ho letto con molto interesse alcuni suoi articoli. Ho anche io il Conconi ,stessa tiratura, non sapevo che fosse così recente e la notizia non mi ha rallegrato. Mi consolo sapendo che l’ acquistai in un blocco, con altre 9 buone incisioni ottocentesche, pagato pochissimo. E’ comunque molto bella anche se tirata dopo qualche decina d’ anni e credo . Ho anche , con altre di Klinger, la stessa che ha pubblicato. Di Daniel Hopfer posseggo l’ intero foglio delle grottesche nel II° stato , la mia è su carta spessa (credo fine 600) , la lastra era più usurata , è ancora molto saporita ma il segno non è nero come nella sua. Cordiali saluti Lanfranco Lanari

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    1. Penso sempre che gli appassionati/collezionisti di incisioni e stampe d’arte siano una specie in estinzione, come i panda. Gli appassionati/collezionisti che sono anche maestri incisori sono poi una vera rarità! Quindi sono veramente felice che lei sia capitato sul mio blog e che vi abbia trovato informazioni di qualche utilità. Questo sarebbe in effetti lo scopo degli articoli. Tra l’altro complimenti per i sui lavori (che non ho potuto fare a meno di cercare in rete) e che sono di grande qualità. Riguardo all’acquaforte di Hopfer, le sarei grata se potesse farmi avere una foto del suo esemplare completo, per confrontarla con il mio e capire meglio se il numero in basso a destra è stato rifilato o no. Grazie, spero di risentirla presto.

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      1. La mia mail è lanfranco53@yahoo.it , mi faccia avere la sua che le invio la scansione , qui non saprei come farlo . Io un’ idea me la sono fatta ma non l’ anticipo , le lascio il compito, comunque intrigante ,di scoprirlo .

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